L'indiepop dei Jeanines è una creatura evanescente, diafana e scontrosa, ma al tempo stesso pronta a colpire con imprevedibile rapidità, lasciando ferite di una malinconia inafferrabile. Sembra fragilissima, ma la sua superficie traslucida rivela una durezza di alabastro. "Up-tempo, super short minor key pop songs: that’s really the main concept I personally had in mind" è la semplice ma infallibile formula messa a punto da Jed Smith (sì, quello dei troppo sottovalutati My Teenage Stride e dell'incredibile progetto Mick Trouble) insieme ad Alicia Jeanine.
Dopo il loro meraviglio esordio del 2019, ora è uscito (ovviamente ancora su Slumberland) questo nuovo Don't Wait For A Sign, un disco di tredici canzoni stipate in una ventina di minuti appena, e che proprio nella concisione e nell'elusività trovano la maniera di consegnare la più esauriente rappresentazione dell'idea di musica dei Jeanines. Un'idea fatta di ombre, riverberi squillanti, chitarre dolenti e melodie angeliche assieme. Vengono in mente, com'è ovvio, certe atmosfere di sogno delle Aislers Set, oppure le melodie introverse delle Liechtenstein o dei Veronica Falls, ma i Jeanines sanno escogitare una quantità abbastanza ampia di stratagemmi diversi e possono ormai essere considerati un mondo autonomo e autosufficiente.
Vedi, per esempio, il primo singolo Any Day Now, che sembra la frase di un ritornello di qualche altra lontana canzone che stai tentando di ricordare, e che con il suo stop&go ti scuote e ti riporta al presente. La scarna Through The Vines forse è una piccola cantilena che qualche fantasma continua a ripetere fra sé e sé, vagando senza più memoria. Got Nowhere To Go è quel tipo di canzone che, sentita alla radio mentre stai guidando di notte da solo, potrebbe farti dubitare con un brivido di essere stato traportato indietro nel tempo, fino agli Anni Sessanta.
Forse non è così un male che Jed e Alicia ora vivano in due parti differenti degli Stati Uniti, rendendo più complicata e lenta la scrittura e la registrazione della loro musica. Arrivato in un lampo in fondo alla scaletta, infatti, ti rendi conto che di Don't Wait For A Sign ti lascia addosso una sorta di inquietudine incantata, che culla, lusinga e stordisce. E tutta questa nervosa bellezza può creare assuefazione.
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