I thought that you would’ve changed by now, I’m still the same anyhow

JEANINES - JEANINES

Non so da quanto tempo sto ascoltando questo disco. Finisce e ricomincia di continuo, e io non sono più sicuro se mi sto facendo trasportare, come si dice in questi casi, oppure se l’effetto è più simile a un lasciarsi attraversare. L’album d’esordio dei Jeanines ha questo potere su di me: le canzoni sono così brevi e continuano a susseguirsi così veloci che perdo di vista il senso del tempo. Non ho bisogno di ascoltare altro: nella loro concisione da un minuto e mezzo, nelle loro chitarre scarne e nelle melodie squillanti, dentro quei passaggi in minore, in quei semitoni dolenti e quei ritmi incalzanti, queste canzoni mi riempiono di tutta la gioia che chiedo all’indiepop. È una concisione eloquente e accurata che mi appaga con una profondità che sorprende me per primo. Ho cercato di non pensare alle solite cose che si pensano ascoltando questo genere di dischi: è evidente che ci sono delle forme che arrivano dalle Talulah Gosh e dalle Marine Girls e scendono fino alle Liechtenstein, The Never Invited To Parties, Veronica Falls e Dum Dum Girls (non per niente esce su Slumberland). Ma quello che riescono a condensare Alicia Jeanine e Jed Smith (sì, proprio quello dei nostri cari My Teenage Stride e di Mick Trouble) all’interno di questa musica riesce ad andare oltre e a farmi dimenticare tutto. Ho cercato di concentrarmi su qualcosa di piccolo, i movimenti più insignificanti che erano capaci di accendere in me una tale euforia: le quattro note di basso alla fine del giro di Either Way, quelle che fanno ritornare la melodia al principio, l’atmosfera “sixites girl group” del coro di Where I Stand, il momento in cui la voce mette l’accento su “I am nothing” dentro In This House, l’ostinazione delle strofe di All The Same, il brivido che mi sfiora ogni volta che Is It Real ripete “I think I’ll write a story about the way that it feels”… Tutto questo è stato assemblato, pezzo dopo pezzo, da mani umane e in un punto preciso del tempo: eppure, ricominciando di continuo, mi sembra che ci sia qualcosa di più, l’intuizione di qualcosa di smisurato che però vive senza affanno e che passa proprio per queste costruzioni minime. Sono io oppure è questo disco a girare in circolo? Importa ancora saperlo, quando un suono trova in te tutta questa felicità?




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