All of this heartache and sorrow
Tomorrow and tomorrow and tomorrow
Will be waiting for you
With a bad tattoo of the past
Tomorrow and tomorrow and tomorrow
Will be waiting for you
With a bad tattoo of the past
In queste stagioni che passano “da remoto”, mentre ogni ragionevole idea di Senso del Tempo è ormai un ricordo sbiadito come quello dei concerti sold-out in affollate stanze buie e sudate, anche la nostalgia finisce per assomigliare a un perduto privilegio. “The luxury of living in the past”, come cantano i Kiwi Jr. in Norma Jean’s Jacket, una canzone che potrebbe sembrare uscita dalla colonna sonora di un John Hughes circa 1986.
In questi primi mesi del cosiddetto nuovo anno, mi sono trovato spesso a ripensare (ripensare che da fuori potrebbe sembrare più un canticchiare sovrappensiero) a Cooler Returns, il secondo album dei canadesi Kiwi Jr. Un disco che, la band vuole considerare "as a 2021 record. [...] very much of its time".
A un primo e veloce ascolto, la band si è sempre attirata paragoni con i Pavement (anche io non ero andato molto più in là parlando del loro formidabile esordio, Football Money, tra i miei dischi preferiti di quell’anno) e immagino che qualcuno si sarà sentito “personally attacked” da un sarcastico tweet come questo. In ogni caso, dopo questo secondo lavoro su Sub Pop, è ormai evidente che il confronto con Malkmus e soci è stato decisamente lasciato alle spalle. Vuoi per gli arrangiamenti che spesso si accendono tra un pianoforte scalcinato e un’armonica solitaria, richiamando alla mente atmosfere tra i primi Rolling Stones e Bob Dylan. O vuoi anche per una maggiore profondità nelle storie e nel linguaggio di queste tredici canzoni. Quello che veniva frettolosamente liquidato come “nonsense” rivela, invece, elaborazioni intricate e sofisticate, in cui lo humour continua a essere un elemento di grande rilevanza ma che non toglie importanza ad altri temi.
Uno di questi, che mi pare trapeli da diverse canzoni, è un certo sguardo disincantato sulla malinconia, la nostalgia e in generale il tempo che ci passa addosso. E questo sguardo sembra essere una conseguenza della presa di coscienza di quanto siamo ormai sfasati e scollegati da un’idea di presente che non funziona più: “Hell yeah, the new game is insane / and I'm stuck keeping the old score”. Qualcosa si è messo di traverso rispetto a qualunque lontano progetto che avevamo ("the past is weighing on her desires") e che non ha più senso vagheggiare. Puoi prenderti le tue modeste rivincite (“2021 tattooed on my ass”), ma forse alla fine non cambierà molto.
Anche la frustrazione di certi personaggi perdenti classici dell’indie rock sembra essere trattata con una certa distanza ("All alone on the edge of 2017 / Ghost World working the cash / at Kiwana's Canteen”: due versi che praticamente sono già un’intera short-story). Ci sono comprensione e tenerezza tanto quanto indifferenza e cinismo, e mi domando in che misura sia un riflesso del nostro cercare di restare a galla in questi mesi. Dietro quelle chitarre così Seventies e quei ritmi così incalzanti si balla e si ride, ma come sempre ride bene chi ride ultimo, e in conclusione è sempre il tempo ad arrivare ultimo:
In questi primi mesi del cosiddetto nuovo anno, mi sono trovato spesso a ripensare (ripensare che da fuori potrebbe sembrare più un canticchiare sovrappensiero) a Cooler Returns, il secondo album dei canadesi Kiwi Jr. Un disco che, la band vuole considerare "as a 2021 record. [...] very much of its time".
A un primo e veloce ascolto, la band si è sempre attirata paragoni con i Pavement (anche io non ero andato molto più in là parlando del loro formidabile esordio, Football Money, tra i miei dischi preferiti di quell’anno) e immagino che qualcuno si sarà sentito “personally attacked” da un sarcastico tweet come questo. In ogni caso, dopo questo secondo lavoro su Sub Pop, è ormai evidente che il confronto con Malkmus e soci è stato decisamente lasciato alle spalle. Vuoi per gli arrangiamenti che spesso si accendono tra un pianoforte scalcinato e un’armonica solitaria, richiamando alla mente atmosfere tra i primi Rolling Stones e Bob Dylan. O vuoi anche per una maggiore profondità nelle storie e nel linguaggio di queste tredici canzoni. Quello che veniva frettolosamente liquidato come “nonsense” rivela, invece, elaborazioni intricate e sofisticate, in cui lo humour continua a essere un elemento di grande rilevanza ma che non toglie importanza ad altri temi.
Uno di questi, che mi pare trapeli da diverse canzoni, è un certo sguardo disincantato sulla malinconia, la nostalgia e in generale il tempo che ci passa addosso. E questo sguardo sembra essere una conseguenza della presa di coscienza di quanto siamo ormai sfasati e scollegati da un’idea di presente che non funziona più: “Hell yeah, the new game is insane / and I'm stuck keeping the old score”. Qualcosa si è messo di traverso rispetto a qualunque lontano progetto che avevamo ("the past is weighing on her desires") e che non ha più senso vagheggiare. Puoi prenderti le tue modeste rivincite (“2021 tattooed on my ass”), ma forse alla fine non cambierà molto.
Anche la frustrazione di certi personaggi perdenti classici dell’indie rock sembra essere trattata con una certa distanza ("All alone on the edge of 2017 / Ghost World working the cash / at Kiwana's Canteen”: due versi che praticamente sono già un’intera short-story). Ci sono comprensione e tenerezza tanto quanto indifferenza e cinismo, e mi domando in che misura sia un riflesso del nostro cercare di restare a galla in questi mesi. Dietro quelle chitarre così Seventies e quei ritmi così incalzanti si balla e si ride, ma come sempre ride bene chi ride ultimo, e in conclusione è sempre il tempo ad arrivare ultimo:
I never planned to follow the plan
No, I never felt right burning the past
Because it isn’t past until it burns
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