"Deindustrializzazione e popular music" (terza parte)

Punk e ‘post-punk’ a Manchester, Düsseldorf, Torino e Tampere

(Un piccolo bignami a puntate di 
scritto da Giacomo Bottà - prosegue da qui)



Quello che succede alla musica delle città industriali fino alla fine degli Anni Settanta è una genealogia interessante che ha delle coordinate nella mutazione/sradicamento, nella ripetizione e nell'uso del rumore, ma cosa succede dopo? Si potrebbe partire da New York, dove nel 1975 la città rischiò la bancarotta (tra l’altro questa cosa di NYC nel libro non c’è, mi è venuta in mente adesso). Ci sono topi ovunque, i servizi pubblici chiudono e il presidente degli Stati Uniti, dopo una veloce visita dice che in pratica NYC può crepare, per quello che gli interessa. Proprio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna cominciano a farsi strada teorie neoliberiste, secondo le quali la produzione industriale va deregolata o trasferita in paesi senza regole e senza sindacati a richiedere diritti. Tutto quell'attivismo sinergico di cui parlavamo prima entra in crisi e gli artisti cominciano a ritirarsi nel privato, un privato molto pubblico naturalmente, documentato e curato, ma pur sempre recluso e blasé. 
Patti Smith arriva nel Lower East Side con il suo cappottone nero, incontra Robert Mapplethorpe; i Ramones escono dalla metropolitana che li porta da Queens alla Bowery con gli strumenti nei sacchetti della spesa; Deborah Harry si tinge i capelli, il CBGB's apre con qualche matinée per debosciati e qualcuno fotocopia e distribuisce una fanzine chiamata Punk. Tutto molto recluso, tutti con gli occhiali scuri anche all'interno. Questa cosa però attraversa l’Atlantico e arriva a Londra, dove l’industria della moda è sempre alla ricerca di nuove tendenze da mettere sul mercato e in pochi mesi il mondo diventa punk. Ci sono tagli di capelli, magliette, telefilm, opere d’arte, cantautori, Sanremo, tutti punk. Al telegiornale si parla di punk e il giorno dopo a scuola qualcuno arriva con un sacco della spazzatura come camicia o con una spilla da balia sulla cartella. 

Nelle quattro città del mio libro, il punk arriva così, dalla televisione o da qualche rivista musicale. I più fortunati sono a Manchester, dove due studenti di un politecnico appassionati di Kraftwerk e Stooges, intercettano una recensione di uno dei primi concerti dei Sex Pistols, vanno a Londra in macchina per vederli e li invitano a suonare a Manchester in una saletta affittata a poco, sopra la Free Trade Hall, una sala concerti nel centro città. Ci sono un sacco di persone che giurano di essere state a quel concerto. Sono anni nei quali la produzione industriale a Manchester stava entrano in crisi, ci sono un sacco di giovani con qualche diploma tecnico, che lavorano nei servizi, ma hanno velleità poetiche o semplicemente muoiono di noia, in una città costruita e organizzata per produrre e basta. Una delle persone che ho intervistato per il libro, migrata a Manchester in quegli anni, mi ha confessato come fosse rimasta scioccata dall'ordinaria vita piccolo borghese di gente che ha rivoluzionato la popular music: i piatti decorati appesi in cucina, i ruoli di genere ostentati da generazioni, dove gli uomini si siedono a tavola e le donne li servono, tutta roba che sembra incredibile, dopo aver ascoltato Love Will Tear Us Apart o aver guardato la copertina di Unknown Pleasures


Nei dintorni di Düsseldorf, due ragazzini cominciano a scrivere The Ostrich, una fanzine dedicata alle Charley’s Girls, un inesistente gruppo punk. Entrano in contatto con un gruppo vero, i Male e cominciano a ritrovarsi nel centro di Düsseldorf in un bar per hippie, il Ratinger Hof, che viene preso in gestione da Carmen Knoebel, moglie di un artista locale. Düsseldorf ha una scuola d’arte abbastanza famosa, soprattutto per aver avuto per qualche anno come professore Joseph Beuys, quello dei blocchi di burro, dei coyote e del feltro. Carmen Knoebel è stata al CBGBs e trasforma il locale in una versione renana del club di Manhattan: luci al neon, interni spogli e palco basso e minimale. I punk locali cominciano ad andarci, ci sono studenti della scuola d’arte, apprendisti meccanici, disoccupate, studenti di medicina, che occupano questo spazio, fianco a fianco con gli artisti affermati, affascinati dal punk.
Come in tutte le "scene", i gruppi cominciano a moltiplicarsi e a mischiarsi, a sciogliersi e a litigare, alcuni passano oltre, altri insistono. I Toten Hosen hanno venduto 14 milioni di dischi e vengono da lì, purtroppo. Le Östro 430 cominciano a provare nei bagni pubblici sotterranei sotto una piazza di Düsseldorf, quattro ragazze, riff di piano o sassofono e urgenza punk che se ne sbatte delle chitarre distorte. 


Qualcuno, dopo aver visto i Wire, i Pere Ubu o le Slits al Ratinger Hof si compra un sintetizzatore, qualcuno comincia a chiedersi cosa sarà mai la musica dell’industria. In tutta la regione renana le fabbriche chiudono, i minatori muoiono di silicosi, i macchinari si fermano. L’ex cantante dei Male fonda un nuovo gruppo chiamato Die Krupps e si costruisce una specie di xilofono con dei pezzi di metallo. Qualcuno si compra un sequencer. 
Dal punk degli ultimi anni di liceo si passa al post-punk che interessa le case discografiche. Nascono la EBM e l’industrial che dal Ratinger Hof migrano al SO36, dal centro storico di Düsseldorf a Berlino Kreuzberg. 


A Torino è lo stesso, i punk nascono da una puntata di Odeon TV, da qualche cane sciolto del Movimento del 77 e dagli anarchici. I gruppi di Torino vanno in treno fino a Milano, poi scendono in Centrale e vanno alla ricerca del Virus, questo squat dove i punk di tutta Italia si ritrovano. Ci sono gruppi hardcore punk anarchici a Milano, in Toscana, in Veneto, nati per essere veloci. A Torino però sembra che i gruppi abbiano qualcosa che li contraddistingue, non un suono forse, ma un’attitudine più legata al disagio. Nel mio libro ho raccolto un po’ di parole chiave e nei testi torinesi ci sono un sacco di tristezza, amaro, incubo, morte, nero, disperazione, nausea, chiuso, repressione, angoscia, ansia, oppressione e pazzia. "Why so sad?" viene da pensare. 
Torino rappresenta la città italiana che più associamo all'industria, soprattutto per la sua funzione di one-company-town legata al mondo delle automobili. Quando l’industria automobilistica entra in crisi, il sistema Torino ne esce a pezzi, terrorismo e in seguito eroina fanno il resto. I gruppi di Torino reclamano spazi autogestiti, ma si accontentano di qualche parchetto e di qualche sala prove comunale, gestita da una cooperativa, come quella di Vanchiglia. Allo stesso tempo, scoprono l’Europa e cominciano a viaggiare, soprattutto in Germania e Olanda, dove Negazione e Declino diventano di casa, portandosi dietro amici e amiche, in furgoni noleggiati, passando davanti a solerti doganieri baffuti, con cartoni di magliette fatte in case e dischi con le copertine serigrafate. 
Su YouTube si trova un video di uno dei primi concerti autogestiti della scena punk italiana, avvenuto a Mirafiori in Via Artom il 19 settembre 1982. La Via Artom era la via simbolo della Detroit nostrana, dei quartieri dormitorio invasi dall'eroina e della violenza metropolitana, era raccontata sui media di tutta Italia e presa a simbolo del degrado e della crisi della società industriale. Nel video si vedono i punk ridere e fare capannello sotto il palco, contornato dai condomini e dalle case popolari, dove a turno qualcuno di loro suona o urla qualche pezzo. Si vede tutto il concetto di scena formarsi davanti a questa telecamera amatoriale: i punk gravitano tra loro ed esibiscono la loro comunanza sartoriale e musicale e lo fanno in pubblico, davanti a tutti. Fantastici sono i truzzi tutt'attorno, in camicia bianca, che assistono a questa esibizione della scena tra il divertito e l’intimorito, sentimenti che trasformeranno spesso in violenza, quando si troveranno davanti un punk da solo di notte. Alla fine del video si vede Lia, la prima cantante dei Declino, della quale non sappiamo quasi nulla, avendo mollato il gruppo dopo qualche prova e questo concerto, una delle poche figure femminili in questa scena, con Lalli dei Franti e Mara dei Contrazione


Una fantastica articolazione sonica della crisi torinese è l’inizio di Omicida 347 Magnum dei Negazione, che ha in una manciata di secondi un concentrato di tensione paragonabile all'ultimo Joker (quello dell’anno scorso). Il pezzo è ispirato da un episodio di cronaca nera, legato a un diverbio stradale (ancora automobili...), narrato da Zazzo con una specie di cut-up preso dai giornali mentre Tax tesse una trama chitarristica rumorosa e dissonante, che poi sfocia nell’hardcore furioso che li contraddistingue. Nei pochi secondi di questa intro si capisce che c’è qualcosa che non va. Tutta quella che ho chiamato musica della città industriale, la sinergia tra musica e industria, l’industriosità dinamica che va dal blues ai Kraftwerk vacilla, come un macchinario che spento, continua per un po’ ad andare avanti per inerzia e perde il ritmo man mano. Anche se nel caso dei Negazione sembra accelerare.


Da Torino a Tampere ci sono quasi 3000 chilometri. Tampere era un paesino trasformato in città industriale da uno scozzese, James Finlayson, che decide di fondare qui una fabbrica di tessuti nell’800. Molto velocemente Tampere diventa la "Manchester della Finlandia" che i locali storpiano in Manse. Una delle poche città nordiche che non è sul mare, Tampere è sempre stata il fulcro della popular music finlandese e per un po’ di anni Manserock è stata l’etichetta per il rock cantato in finnico, visto che i gruppi principali erano di lì, per poi essere soppiantata da Suomirock che è un termine nettamente più sovranista. Il musicista simbolo di Tampere è Juice Leskinen, arrivato in città per studiare all'università. Juice sembra uscito da un fumetto e i fumetti sembrano essere la sua prima ispirazione. Esprime tutto il carnevale represso di Tampere, dove una bottiglia di vino si trova solo nei monopoli, è vietato bere per strada e si può ordinare una consumazione solo se si ha qualcosa da mangiare sul tavolo. Tampere alla fine degli anni settanta potrebbe benissimo essere in Unione Sovietica, il paese confinante che garantisce una buona parte delle entrate economiche del paese nordico. Anche il punk a Tampere comincia come un affare per studenti, che si organizzano un club "all ages" con qualche gruppo locale. Si riempiono le giacche di spille e i gruppi cominciano a girare. I Ramones suonano nel teatro di una scuola professionale davanti ai membri degli Eppu Normaali, il giorno dopo gli Eput suonano nel loro liceo e una quarantina d’anni dopo gli Zen Circus li coverizzano. 


Poi ad un certo punto anche a Tampere il punk comincia a mutare e l’hardcore prende il sopravvento con gruppi come Bastards, Riistetyt, Kaaos e Kohu-63. I Bastards vengono anche in Italia in inter-rail e suonano a Milano al Virus. Sono forse il primo gruppo finlandese a suonare in Italia. Fanno anche una cover di Bella Ciao in finlandese. Il chitarrista mi ha spiegato che in treno un vecchio aveva insegnato loro le parole della canzone in italiano, ma poi aveva bevuto tutte le loro riserve alcoliche e si era addormentato, dando occasione al gruppo di modificargli l’acconciatura con un taglio irokese punk/Taxi Driver. La canzone sarà poi registrata anche dai Riistetyt: 


L’hardcore a Tampere è molto grezzo, il gruppo che tutti adorano sono i britannici Discharge, e il finlandese urlato suona davvero come qualcosa di esotico e terrificante allo stesso tempo, specialmente nel caso dei Kaaos, gruppo adorato in Brasile proprio per la sua intransigente sofferenza. 


[continua]


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