Qui a “polaroid – un blog alla radio” siamo piuttosto rispettosi di certe tradizioni quando si avvicina la fine di dicembre, e perciò, anche se un po' più tardi del solito, ecco la tradizionale Classifica dei Dischi dell’Anno. Il consueto e trascurabile diario in forma di playlist dei dodici mesi che stiamo per lasciarci alle spalle, tra innamoramenti, fraintendimenti, ripensamenti e ritrovamenti. Magari a molti non sembreranno tutti dischi così importanti, ma sono quelli che mi ricorderanno che forma ha avuto questo curioso anno di musica per me. Un anno in cui non mi sono ancora deciso ad abbracciare le piattaforme di streaming e in cui però ho trasmesso in streaming sempre di più; un anno in cui ho lasciato una vecchia radio in FM ma anche quello in cui ho comprato più vinili che mai; un anno in cui ho scritto molto meno ma in cui ho scritto cose a cui tengo di più. Alla fine restano queste canzoni, questi dischi, un lungo intreccio di parole e giri a banco che porta a questa sera, a questa trasmissione: spero che vi piacciano.
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10) Très Oui- Poised To Flourish (Slumberland)
Dopo l'esperienza con i Literature, Nate Cardaci ha messo in piedi questi nuovo trio, smussato certe chitarre più irruenti, aggiunto un tocco di synth e ci ha regalato uno dei dischi indiepop più divertenti e scanzonati dell'anno.
9) Superorganism - Superorganism (Domino)
Il disco con la più alta densità di arcobaleni (e hype) che era possibile ascoltare nel 2018! Avrebbe potuto trovare tranquillamente posto nel catalogo della vecchia Grand Royale, e invece riesce a parlare benissimo al presente. Finisce di diritto in classifica, non fosse altro per l'incredibile (anacronistico?) ottimismo che riesce a sprigionare.
8) Castlebeat - VHS (Spirit Goth Records)
Tutta un'agitata genealogia di chitarre che scende dai Cure fin giù ai Beach Fossils e che qui trova una sintesi praticamente impeccabile. Disco che non poteva mancare dalla mia classifica dell'anno, non fosse altro per le ore che ci ho passato dentro.
7) Say Sue Me - Where We Were Together (Damnably)
L'anno della consacrazione per la band sud-coreana, che con il suo indie rock agrodolce e colorato di surf riesce a tenere assieme influenze classiche, come Yo La Tengo e Pastels, con chitarre veloci Anni Duemila. "Il fatto che uno dei dischi indiepop migliori e più entusiasmanti di quest'anno riveli con la massima legerezza, tra i versi e le canzoni, questo atteggiamento sospeso tra il fatalista e il distaccato, forse ci dice qualcosa anche dello stato di salute dell'indiepop stesso".
6) Young Scum - Young Scum (Citrus City / Pretty Olivia Records)
"La voce morbida di Chris Smith ha esattamente quel colore da fine domenica pomeriggio, quando il senso del dovere torna a presentarci il conto di tutta la nostra inadeguatezza. Ma una cosa che mi piace molto degli Young Scum è che a contrastare tutta questa inarrestabile ansia arrivano chitarre scintillanti e agrodolci, al servizio di una scrittura degna delle migliori uscite di Lucksmiths, Field Mice o Brighter, per darvi un’idea delle atmosfere. Insomma jangle pop di primissima qualità."
5) The Spook School - Could It Be Different? (Slumberland / Alcopop)
"Possiamo ballare e divertirci, possiamo lasciarci prendere la mano dalla nostra interminabile adolescenza, possiamo parlare d'amore e corpo (la consueta limpidezza quando trattano di "vita da transgender"), ma la politica di fondo nella musica degli Spook School non cambia, resiste, ed è netta. E questa forse è la vera ragione per cui questo loro disco di pop-punk molto Nineties regge così bene ed è ancora oggi così importante, in questo 2018 che speravamo meglio."
4) Setti – Arto (La Barberia Records / Vaccino Dischi)
Il disco italiano che ho cantato di più quest'anno (e che continuo a cantare), un disco che qui è praticamente diventato uno di famiglia, scritto e suonato con amore tra indiepop, cantautorato e surreale malinconia.
3) Sidney Gish – No Dogs Allowed (self-released)
Sidney Gish racconta con incantevole acutezza la vita quotidiana di una quasi ventenne dalle idee chiare e multiformi, ricca di talenti e immaginazione, e al tempo stesso non può fare a meno di annotare il proprio farsi strada nel mondo per tentativi, a volte comici, a volte più faticosi e dolorosi. Alzi la mano chi non si potrebbe riconoscere in una strofa schietta e disarmante come: "every other day I’m wondering / what’s a human being gotta be like / what’s a way to just be competent".
2) Parquet Courts - Wide Awake (Rough Trade)
L’ermetismo iper-analitico e frenetico, ma al tempo stesso spietato, combattivo e denso di proclami, di Andrew Savage è una delle cose più esaltanti successe nella musica di questi ultimi anni. E poi c’è il suono, o per meglio dire: i suoni. I Parquet Courts sono maestri nel gestire un assortimento di influenze e riferimenti, a tirarli fuori di volta in volta, secondo lo scopo, con cambi fulminei da una canzone all’altra, o anche all’interno della stessa traccia, con scarti che mi lasciano steso.
(mp3) Total Football
01) The Goon Sax - We're Not Talking (Chapter Music / Wichita)
L'eleganza scintillante Postcard, le giravolte beffarde Flying Nun, certe inaspettate dolcezze di archi Belle & Sebastian, un'innocenza Jonathan Richman ma anche un'arguzia un po' primi Delgados: insomma, un clamoroso album "in between" che dimostra quanto, in appena due anni, siano già maturati questi irresistibili ventenni.
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