I'm full of things I hate
but I like you
I like you liking me
Yet I'm full of things I hate
Sono rimasto il solo a invecchiare in questa vecchia città, se ne sono andati ormai tutti. Vorrei andarmene anche io, e vorrei restare, e non so il perché. Il tempo ha scelto al posto mio. I Say Sue Me non ne fanno un dramma, e con una franchezza invidiabile raccontano che abbiamo ancora molte cose: ballare, bere, una spiaggia, il nostro solito bar, un amore che non ha tutte le risposte ma a cui abbiamo imparato a non fare domande. Le cose che odio di me stesso sembrano essere proprio quelle per cui ti piaccio. Non proviamoci nemmeno a trovare un significato a tutto questo. Forse è uno spreco di tempo, e in ogni caso una nuova estate è ormai arrivata.
Il fatto che uno dei dischi indiepop migliori e più entusiasmanti di quest'anno riveli con la massima legerezza, tra i versi e le canzoni, questo atteggiamento sospeso tra il fatalista e il distaccato, forse mi dice qualcosa anche dello stato di salute dell'indiepop stesso. La maniera, sensibile ma non per questo meno spietata, in cui questa musica vede ora il mondo. Come è altrettanto importante sottolineare il fatto che il quartetto non è americano né inglese o svedese, ma coreano. Ci aiuta a ricordare che certe prospettive provinciali hannno sempre meno senso per il modo in cui si produce e circola la musica oggi.
Il secondo album dei Say Sue Me Where We Were Together è un disco davvero impeccabile, sia quando nei singoli come Old Town o B Lover si diverte a farci immaginare le chitarre di quell'indie-surf-pop da Anni Zero in riva all'Oceano Pacifico (ma dalla parte opposta della California), sia quando omaggia con gesti più scoperti le proprie influenze: per esempio, gli Yo La Tengo in Here, certi Pastels in Funny And Cute o gli Alvvays in Coming To The End (guarda caso tutte le ballate del disco).
Nonostante la pigrizia che attribuiscono alla propria città di origine, Busan, i Say Sue Me riescono a trovare la forza per condensare dentro questo disco un intero mondo di poesia, che parte da piccoli scambi quotidiani ("You know the place, our cozy bar"), conosce lo sconforto ("There are so many people, like it used to be, but I feel nothing inside"), lotta per perdere sé stessa ("I just wanna dance, as much as I forget who I am") e raggiunge infine una specie di serenità che quasi non è più di questo mondo ("Nobody is going to tell you who you are / Today is coming to an end / Nobody is going to know who I am").
E infine, Where We Were Together mi conquista definitivamente quando con acuta raffinatezza intitola una canzone The Courage To Become Somebody's Past e lascia che sia soltanto uno strumentale, mostrando così e non dicendo quando è il momento di abbandonare le parole.
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