Let’s pretend we’re not in love

The Reds, Pinks & Purples - Summer At Land's End

Di tutte le amabili promesse che ogni primavera porta ogni volta e che ogni volta ti offre imperturbabile, la più preziosa e la più irreparabile è quella che ti ripete che ci saranno sempre una nuova primavera e nuove promesse ad aspettare te. Per sempre, per sempre, per tutto il tempo che dureranno le primavere e noi. 
Com’è ovvio non è così, ma il compito della primavera è soltanto quello di scintillare e promettere, e l’incantesimo torna a compiersi ancora, incrollabile come il limpido cielo sopra i pomeriggi pieni di parole pronunciate per la prima volta, le stesse a ogni primavera.
Le melodie tremolanti e la voce sussurrata di Glenn Donaldson, nonostante a prima vista appaiano così piene di malinconia e distanze, sono come una delicata primavera in forma di indiepop. Con il suo progetto solista The Reds, Pinks & Purples ci ha abituato a una produzione continua e incontenibile. Tra il singolo che anticipa un album e l’uscita dell’album esce spesso un differente EP; altre canzoni non possono aspettare e fioriscono all’improvviso su Bandcamp; vecchie e nuove collaborazioni viaggiano di pari passo alla carriera solista di Donaldson, con analoga operosità. Ma, in fondo, tutto quello che questa musica ci racconta è la stessa promessa: jangling guitars gentili e melodie dai colori pastello che sembrano fatte apposta per essere canticchiate mentre cammini da solo e non vorresti mai uscire dalle tue cuffie.
E come la luce nuova di primavera che riprende a muoversi tra i rami e le foglie, così in questo suono basta una piccola brezza per scorgere differenti modulazioni. Quegli stessi colori pastello rappresentano da sempre la costante cornice delle immagini e delle copertine che accompagnano la musica di The Reds, Pinks & Purples. Ma proprio come notava giustamente l’amico Francesco Amoroso in una bella recensione su Triste, la copertina di questo ultimo album Summer At Land’s End sposta leggermente l’obiettivo: alle consuete fotografie di vecchi e tranquilli edifici del quartiere di Richmond, nella sua San Francisco, qui si sostituisce in primo piano una rosa, tanto in primo piano da apparire mossa e sfuocata, mentre una finestra chiusa rimane sullo sfondo. Quasi a cercare il corrispettivo visivo di uno sguardo che si trova troppo vicino al suo oggetto. Un’affinità e un’intimità che Donaldson racconta con brevi immagini, fugaci appunti di un’appartata quotidianità oppure un flusso continuo di ricordi più o meno amari, senza tralasciare quasi mai collaterali annotazioni metereologiche (un classico per me irresistibile dai tempi dei Lucksmiths).
Anche la forma dell’album, racconta Donaldson, questa volta cerca una coesione maggiore: “I maybe thought a little more about recording songs with a romantic hazy acoustic quality and creating a flow with the sequencing and the instrumental passages”. “Hazy” per me è la parola chiave, forse ancora più di “romantic”. Perché per The Reds, Pinks & Purples il romanticismo non è tale se non si presenta con i contorni nebulosi di una malinconia in dissolvenza, a mescolare memoria e vita di tutti i giorni. 
Secondo quanto racconta la press release che accompagna l’uscita dell’album, uno dei fili conduttori di Summer At Land’s End sarebbe “the challenge of connecting with someone, the ordinary goals of being human and finding harmony with others”. E non importa quante volte resteremo delusi, o quante volte saremo una delusione noi stessi. Ritornerà sempre una nuova primavera, a portarci nuove promesse e a farci tornare sui nostri passi. Proprio come ritornerà sempre qualche nuovo disco di The Reds, Pinks & Purples.



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