Ogni volta che mi capitava di parlare dei Burnt Palms, la precedente band di Christina Riley, notavo sempre come una delle cose che preferivo di loro era la maniera in cui mi ricordavano certe atmosfere delle All Girl Summer Fun Band, una di quei nomi secondo me sempre troppo sottovalutati, anche in una storia già piena di outsider come quella dell’indiepop. Sentivo nelle chitarre dei Burnt Palms la stessa esuberanza abrasiva delle ragazze di Portland, con l’aggiunta poi di un gusto più lo-fi e punk, così da riuscire a creare un suono grintoso e malinconico al tempo stesso.
Da un paio d’anni Christina Riley ha voltato pagina e per reagire alla stanchezza che le impediva di scrivere nuova musica ha dato vita a un nuovo progetto chiamato Artsick, prima da solista e poi insieme a Donna McKean (già Lunchbox e negli Hard Left) e Mario Hernandez (dei seminali Kids On A Crime Spree). Arrivato finalmente l’album d’esordio, intitolato Fingers Crossed, mi sembra che quell’energia tutta AGSB stavolta sia esplosa libera e senza freni, e io ovviamente ne sono molto felice. Lungo tutte queste undici tracce, le melodie a presa rapida sferragliano senza sosta e il ritmo non rallenta mai, nemmeno quando le canzoni sembrano toccare argomenti o sentimenti più cupi (cosa che, in effetti, succede abbastanza spesso). “It’s so complicated / I feel so frustrated" ammette Dealing With Tantrums, mentre Restless domanda candida "Satisfaction, where are you?", per arrivare all'apoteosi di Ghost Of Myself, che racchiude un caso di alienazione da manuale: "Just a ghost of myself / Haunting me and my own house / Watching life go on around me / Living invisibly".
Nel gioco dei contrasti tra certi allegri assalti sonici, un po' Talulah Gosh e Tiger Trap, e i racconti spesso sconfortanti dei testi consiste una delle qualità migliori di questo disco, brillante esempio di come si possa aggiornare al tempo presente il verbo dell'indiepop.
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