Chasing the stream

Doe St. - Doe St.

"I wanna change, I wanna try, living in this system I've been pushed down the line": un semplice riga di parole scritte in fretta a penna, un appunto per ricordarsi dove sono, dove siamo, perché andare avanti. Un disco, appena sette canzoni, l'elettricità che tiene assieme a malapena le chitarre, parole schiette come le bottiglie di birre che abbiamo vuotato e che ora riempiono il pavimento di questo garage, tra la batteria, i cavi e gli amplificatori. Indie rock, slacker e ostinato, confuso e fragoroso: caro, vecchio, trascurato indie rock. I quattro componenti dei Doe St, dalla piccola città di Rye, un centinaio di chilometri a sud di Melbourne, hanno realizzato un disco d'esordio che sembra arrivare da un altro tempo, da una dimensione parallela in cui non abbiamo bisogno di altri eroi che gli Swell Maps e il catalogo della Flying Nun. Una dimensione in cui la polverosa disinvoltura di certe band australiane (molto amate anche nell'emisfero periferico di questo blog) ha conquistato l'universo: dentro le torrenziali strofe di Doe St ritrovo Twerps, The Stevens, Boomgates, Scott & Charlene’s Wedding, Unity Floors... Ma soprattutto, ritrovo quel "I wanna change, I wanna try" fatto di nervi, carne e feedback, voce seppellite nel rumore e sguardo teso in avanti, che spesso dimentico di cercare dentro la musica. La mia, la nostra, il caro, vecchio, trascurato indie rock. 



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