Ragazzi che inneggiano alla rivoluzione, sostengono il do-it-yourself come unica via, puntano il dito contro i fascisti e non vedono l’ora di prendersi una meritata rivincita sulle corporation. La cosa che non ti aspetti è che i ragazzi in questione sono in realtà over-50 che riescono a canalizzare tutta questa grinta in una band indiepop. Si chiamano Swansea Sound e sono una specie di super-gruppo: dentro ci sono Hue Williams (dei leggendari Pooh Sticks), Amelia Fletcher e Rob Pursey (Talulah Gosh, Heavenly, fino ai Catenary Wires: semplicemente la storia di questa musica che amiamo) e Ian Button (Thrashing Doves, Death in Vegas, Darren Hayman e altri: una sicurezza).
La press release la spiega in maniera fin troppo facile: “the band came into being during lockdown and decided that fast, loud, political indiepop punk was the answer to being stuck indoors. Who needs introspection?”. In realtà, dentro le canzoni di Live At The Rum Puncheon, l’album di debutto degli Swansea Sound appena uscito, di “introspection” e di riflessioni ne troviamo eccome. L’apertura di Rock N Roll Void, per esempio, racconta un’educazione sentimentale tra Kinks, Ramones e C86; Indies Of The World è una chiamata alle armi per le nuove generazioni creative contro il Sistema-Spotify, mentre I Sold My Soul On eBay descrive la situazione miserabile in cui finisce per ritrovarsi chi cerca di fare musica al giorno d’oggi (“I need some money / Don’t need a soul / So monetising is my goal”).
Ma non ci sono soltanto rabbia e sete di giustizia in questo disco: I’m OK When You’re Around, per esempio, diventa quasi romantica quando parla della speranza di un incontro umano in un mondo che sembra affollarsi sempre più di haters; Let It Happen è un’esortazione a scrollarsi di dosso le timidezze inutili dietro cui ci nascondiamo, mentre la title track è un omaggio a una vecchia stazione radio del Galles che è stata acquisita da un grande network e che ha perso, oltre al suo nome, il suo carattere e il suo stile. Il dj protagonista del piccolo racconto comincia il suo ultimo giorno di trasmissioni chiedendosi, come ogni mattina, “What will be the first song that I play?”. Una domanda all’apparenza banale, che però racchiude un amore e una passione ormai d’altri tempi.
Non è un caso che da qui prenda anche il nome la band: da un suono che era nell’aria e che non c’è più, un suono che ora rappresenta una protesta contro gli effetti dell’ottusità capitalista sulla cultura, e che gli Swansea Sound vogliono tornare a diffondere. Potranno sembrare discorsi ingenui, potranno sembrare canzonette innocue, cantate da voci “non al passo con i tempi”. Eppure, sono convinto che se potessimo trovarci ancora tutti al Rum Puncheon (a proposito: un altro vecchio pub che non esiste più) per parlare e stare insieme ci farebbe bene. Nel frattempo, prepariamoci con questo bell'album.
La press release la spiega in maniera fin troppo facile: “the band came into being during lockdown and decided that fast, loud, political indiepop punk was the answer to being stuck indoors. Who needs introspection?”. In realtà, dentro le canzoni di Live At The Rum Puncheon, l’album di debutto degli Swansea Sound appena uscito, di “introspection” e di riflessioni ne troviamo eccome. L’apertura di Rock N Roll Void, per esempio, racconta un’educazione sentimentale tra Kinks, Ramones e C86; Indies Of The World è una chiamata alle armi per le nuove generazioni creative contro il Sistema-Spotify, mentre I Sold My Soul On eBay descrive la situazione miserabile in cui finisce per ritrovarsi chi cerca di fare musica al giorno d’oggi (“I need some money / Don’t need a soul / So monetising is my goal”).
Ma non ci sono soltanto rabbia e sete di giustizia in questo disco: I’m OK When You’re Around, per esempio, diventa quasi romantica quando parla della speranza di un incontro umano in un mondo che sembra affollarsi sempre più di haters; Let It Happen è un’esortazione a scrollarsi di dosso le timidezze inutili dietro cui ci nascondiamo, mentre la title track è un omaggio a una vecchia stazione radio del Galles che è stata acquisita da un grande network e che ha perso, oltre al suo nome, il suo carattere e il suo stile. Il dj protagonista del piccolo racconto comincia il suo ultimo giorno di trasmissioni chiedendosi, come ogni mattina, “What will be the first song that I play?”. Una domanda all’apparenza banale, che però racchiude un amore e una passione ormai d’altri tempi.
Non è un caso che da qui prenda anche il nome la band: da un suono che era nell’aria e che non c’è più, un suono che ora rappresenta una protesta contro gli effetti dell’ottusità capitalista sulla cultura, e che gli Swansea Sound vogliono tornare a diffondere. Potranno sembrare discorsi ingenui, potranno sembrare canzonette innocue, cantate da voci “non al passo con i tempi”. Eppure, sono convinto che se potessimo trovarci ancora tutti al Rum Puncheon (a proposito: un altro vecchio pub che non esiste più) per parlare e stare insieme ci farebbe bene. Nel frattempo, prepariamoci con questo bell'album.
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