Tu non odi il lunedì: tu odi il mondo capitalista in cui le chitarre agitate che si schiantano e si disfano come nelle canzoni dei Track Star non rappresentano ancora tutto ciò per cui vale la pena vivere, amare e combattere dentro la musica. Ridatemi indietro gli Anni Novanta, queste melodie demolite, sepolte, beffarde, ruvide e slacker, ridatemi la prima volta che ho sentito i Pavement e i Sebadoh. Ridatemi l’album d’esordio dei Track Star rimasterizzato e con 19 bonus track, in pratica mezza loro discografia tra 45 giri, 10 pollici e inediti. Eccolo qui: Sometimes, What's the Difference? REDUX raccoglie una bella fetta dell’opera della band di San Francisco attiva tra il 1994 e il 2004 e fondata da Matthew Troy (Calling All Monsters) e da quello stesso Wyatt Cusick che già conoscevamo per Aislers Set e Still Flyin’. I Track Star, però, sono una creatura del tutto differente, per niente twee o jangling. Qui siamo nel territorio dei Malkmus o di certi Galaxie 500. Ci muoviamo sotto un cielo di flanella (Burn Down The Bed) con passo indolente (From Where You Are) e poi all’improvviso scateniamo una festa (The View From Space oppure Number One) e trabocchiamo un’esuberanza senza senso, coinvolgente e parecchio rumorosa. All'apice della carriera, i Track Star hanno diviso palchi e tour con nomi come Imperial Teen, Stereolab, Elliott Smith, Modest Mouse e Shins, tanto per citarne alcuni, e riascoltando questo meraviglioso e sorprendente doppio album (uscito ora grazie alla Silver Girl Records) non si capisce perché non abbiano raggiunto la stessa notorietà. Ma del resto, sono proprio queste le storie indie rock che abbiamo più a cuore. E così, "a volte, che differenza fa?".
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