Quasi vent'anni che lo conosco, eppure non ci siamo mai incontrati. In compenso, per un motivo o per l'altro, ho seguito praticamente tutte le avventure musicali (e pure alcune di quelle accademiche) di Giacomo Bottà dai tempi degli Skoda. E bisogna riconoscere che mi sono sempre divertito molto.
All'inizio di quest'estate è uscito Tristesse Royale, l'album di debutto del suo ultimo progetto chiamato Deine Mutti, in duo con Mario Panzeri, con una curiosa collaborazione a distanza tra Helsinki e Bergamo. Il disco, tra l'altro masterizzato da Alessandro Paderno dei cari e indimenticati Le Man Avec Les Lunettes, è un intrigante incrocio tra bedroom pop lo-fi e suggestioni cantautoriali italiane. Mi sono trovato a riascoltare i suoi colori agrodolci parecchie volte lungo queste settimane e lungo queste strade, e visto che in rete non si trovano molte informazioni su di loro mi è venuta la curiosità di saperne di più.
Partiamo dalla domanda più prevedibile: dato che Deine Mutti è un progetto che rimbalza tra la Finlandia e l'Italia, ci raccontate da dove arrivano i suoi componenti, come è nata la collaborazione e perché?
M. Io abito a Bergamo, ma ho conosciuto Giacomo a Berlino tempo fa. Negli anni ci siamo spesso scambiati file e opinioni sui rispettivi progetti musicali, poi un giorno ho trovato Zaffiro nella mia casella email. Giacomo mi ha chiesto di provare a cantarla come Bryan Ferry... Fortunatamente il provino gli è piaciuto, e da lì è nata l'idea di unire le nostre forze e collaborare, utilizzando nuove idee e qualche vecchio pezzo che finalmente ha visto la luce nella petalosa veste deine Mutti.
G. Mario l'ho conosciuto a Milano, davanti alla Centrale, il 18 Settembre 2002 alle 18:15. Lui aveva addosso il cappotto di cammello e mi ha messo in mano la sua tesi di laurea sul pop come alibi nella letteratura tedesca contemporanea. Ci saremo visti un altro paio di volte prima che finissi in Finlandia. Forse una volta anche a Berlino. Lui aveva abitato a Berlino un anno prima di me e avevamo un sacco di amici in comune. Negli anni siamo rimasti in contatto e ha anche recensito il mio primo EP come Jaakko per RockIt. Poi abbiamo un gruppo Whatsapp del calcetto, ma invece del calcetto c'è di mezzo Berlino e la scrittura sperimentale, ma insomma, lo usiamo come terapia di gruppo e Mario aveva messo lì un pezzo che aveva registrato nella primavera del 2020; pensa te, a Bergamo, nella primavera del 2020 come ci si stava. Io gli ho detto: se vuoi ti faccio un remix e dopo quello abbiamo cominciato a scambiarci pezzi.
In fondo è il 2021, sono passati vent'anni dai Postal Service e lavorare a distanza (anche se non ci fosse stata di mezzo una pandemia) anche a un progetto artistico oggi è una cosa assolutamente normale, ma ci spiegate lo stesso qual è la vostra divisione del lavoro e come avete scritto assieme queste vostre prime canzoni?
G. Che bello quel disco dei Postal Service! Il lavoro per noi è molto semplice. Usiamo GarageBand, un software per registrare davvero entry level che si trova gratis su ogni Macbook. Ca va sans dire, entrambi abbiamo vecchi Macbook che usiamo da anni, quelli con gli strati di adesivi sopra e il caricatore tutto sfilacciato. Li usiamo sia per lavorare che per il tempo libero. Roba da boomer. Comunque grazie a dei tutorial su YouTube abbiamo capito che è facile scambiarci i file dei progetti, così la cosa è stata molto intuitiva e facile: uno imbastiva una sua canzone e la mandava all'altro per lavorarci sopra.
Una cosa curiosa è che come lombardi orobici non amiamo parlare e tutta la comunicazione è stata per chat. Anche adesso non ci ho ancora parlato con Mario, non ricordo nemmeno che voce abbia quando parla.
Una cosa curiosa è che come lombardi orobici non amiamo parlare e tutta la comunicazione è stata per chat. Anche adesso non ci ho ancora parlato con Mario, non ricordo nemmeno che voce abbia quando parla.
M. Oltre a cantare ho suonato il basso su alcuni pezzi: mi piaceva l'idea di unire le sonorità tenebrose di un Bass VI (un basso a sei corde che può essere utilizzato anche come chitarra baritona per gli arpeggi) con il Casiotone di Giacomo. Sono proprio gli arrangiamenti di queste tastiere a dare un tono giocoso e lo-fi ai pezzi, oltre che a fare da tappeto ambientale all'intero disco... Davvero strumenti eccezionali nella loro semplicità.
Parliamo dell'album: "Tristesse Royale" il titolo, "facce tristi", "canzoni tristi" nei versi... dobbiamo forse intuire un certo filo conduttore? Scherzi a parte: ci sono dei passaggi in cui sembra che il tono delle vostre storie sia al tempo stesso un'ode alla malinconia e un sospiro di sollievo per essersi lasciati alle spalle il passato. Quale sentimento cercate di catturare in queste canzoni?
M. Come le margherite che sbocciano da una recinzione sulla copertina del nostro disco, così le canzoni sono state evasioni mentali dalle zone rosse in cui, più o meno, siamo stati confinati. La distanza e la solitudine che i social ci impongono, l'effimera ricerca del tempo perduto nell'eterno presente di internet, l'incomunicabilità tra le persone: tutte tematiche che la pandemia ha amplificato e che noi, penso inconsciamente, abbiamo cercato di trasformare in un leggerissimo disco pop. Come ha detto un mio caro amico, Tristesse Royale è un concept album sul “Romanticismo Pandemico”: penso non esista una definizione migliore per la nostra musica, qualsiasi cosa lui abbia voluto intendere.
G. Esatto è tutto lì, tutto nel "è stato tanto tempo fa" alla fine di Gioventù Colossale. L'indie (io lo chiamo ancora così) in pratica é stato un medium per per comunicare con noi stessi di venti/venticinque anni fa e insomma dire che andrà tutto un po' bene e un po' male, ma alla fine diventare grandi non è niente di così spaventoso, solo che la birra trappista costa un sacco più di allora.
A proposito di Gioventù Colossale: a un primo ascolto credevo racchiudesse un'istantanea sbiadita e affettuosa della noia in cui era immersa l'adolescenza di chi oggi ha una certa età (e che, a volte, oggi capita pure di rimpiangere), poi tornandoci su mi pare che parli di altro, di un presente più amaro.
M. Da insegnante di scuola superiore, sono un osservatore privilegiato delle dinamiche adolescenziali. Leggendo il testo originale di Giacomo ho pensato che forse era possibile, cambiando qualche parola qua e là, gettare un ponte tra boomer e giovani d'oggi, parlando dell'unica cosa che davvero ha accomunato da sempre le generazioni: la noia, quella davvero non cambia mai, e nemmeno aggiornamenti di status, stories e post sembrano avere vita facile a riguardo.
G. Scrivo dopo aver appena visto il documentario HBO su Woodstock 99, quel festival terrificante con i Limp Bizkit e i Korn e i RHCP e tutti quei gruppi terrificanti, quella era più o meno la mia generazione. Insomma c'era un sacco di roba assolutamente orribile negli Anni Novanta (Cobain e Kristen Pfaff che si sparano, Mia Zapata che viene uccisa, Berlusconi, i Creed...), c’erano quei film assurdi tipo Fight Club e Matrix e soprattutto c'era questa cultura della violenza testosteronica che era ancora molto in auge. Tutto questo revival degli anni Novanta mi fa un po' ridere (specialmente da quando mio figlio mi ha implorato di comprargli i bragoni Dickies da skateboard). Gli anni novanta sono stati soprattutto dei ragazzoni col cappellino da baseball che pogavano urlando "fuck you I won't do what you told me" cercando di fare il più male possibile a quelli con gli occhiali e il cardigan (true story). Pensa che quando è uscito Smells Like Teen Spirits le discoteche di provincia hanno subito cominciato a passarla, in un orribile versione dance, e la discoteca improvvisamente diventava un campo da battaglia, una cosa disgustosa.
Quindi per concludere questa lunghissima parabola. io non tendo ad associare la noia alla mia gioventù, che era tutt'altro che noiosa, ma a quella dei giovani d'oggi sì. Insomma, TikTok non è il massimo, in qualsiasi prospettiva tu lo voglia esaminare.
Quindi per concludere questa lunghissima parabola. io non tendo ad associare la noia alla mia gioventù, che era tutt'altro che noiosa, ma a quella dei giovani d'oggi sì. Insomma, TikTok non è il massimo, in qualsiasi prospettiva tu lo voglia esaminare.
Non potrete sfuggire all'esegesi di una strofa impietosa e crudele come "tutti i soldi che hai speso in dischi / tutte le canzoni tristi / che non ascolterai mai più": cosa avete da dire a vostra discolpa?
M. Nel testo di AZ avrei voluto inserire anche una strofa in cui il contapassi del protagonista si azzera, mandando così in fumo i suoi sforzi per mantenere almeno la forma fisica: poi Giacomo mi ha detto che sarebbe stato troppo crudele e ho desistito. Non fatevi ingannare dal contapassi, le calorie dopo una certa età non si bruciano più, neanche in bici col fiato corto.
G. Ogni tanto ai mercatini delle pulci trovi uno scatolone di CD che sono chiaramente tutti della stessa persona e magari al tavolo c'è una signora settantenne che ti sorride e dice che li vende a due euro l'uno, che erano di suo figlio e li aveva in casa da anni. Magari suo figlio è morto o magari da quando ha Spotify Premium ha messo tutto in uno scatolone e l'ha depositato nel garage dei suoi. Ecco, volevo parlare di questo, dell'effetto che la disruption tecnologica ha sulla materialità della musica e su tutti i soldi che buttiamo via.
Le melodie e l'uso della voce fanno venire in mente alcune cose dei Pulp, dei Baustelle o dei Perturbazione, ma con un approccio in qualche modo più lo-fi e sfuggente: quali sono le vostre influenze musicali e come vi piace tradurle nei Deine Mutti?
M. Per il cantato l'idea era quella di trovare un punto di congiunzione tra canzone italiana anni sessanta e le smancerie di Manchester degli Ottanta. Naturalmente è stato tutto solo idealizzato nelle nostre menti, il risultato è molto più modesto, come la strumentazione che abbiamo usato per le registrazioni. Ma tutto sommato ci è piaciuto lavorare così.
G. Hai in mente quando qualcuno ti dice che "ascolta di tutto"? Ho sempre odiato l'espressione ma dobbiamo ammettere che ascoltiamo di tutto, ma ci piacciono le canzoni tristi.
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