Era uscito qualche mese fa, e l’avevamo anche passato alla radio, ma da queste parti è tornato in “rotazione pesante” quando le temperature si sono alzate e le giornate si sono stiracchiate, indugiando più a lungo prima del tramonto, generose e tolleranti. Il disco di esordio dei parigini Hoorsees (con l’aggiunta di quelle due vocali, giusto per essere più Google friendly) era quello che ci voleva per lasciarsi finalmente andare alla bella stagione, all’indie rock più spensierato, ma con quella punta di velata nostalgia, uno strappo lieve, giusto per non apparire troppo educati e noiosi.
Invece gli Hoorsees riescono a trovare nel loro brillante guitar pop l'adeguato equilibrio di melodie ed energia, limpidezza e contrasti. Inutile girarci attorno: il primo nome che mi è venuto in mente sin dalle prime note del disco è stato quello degli Shout Out Louds, band svedese che trovo sinceramente irresistibile. Chiunque riesca a evocare la stessa elettricità, tra Cure, New Order, Strokes e quella voglia adolescente di sentirsi invincibili, con me vince sempre facile. Queste canzoni raffigurano alla perfezione quel misto di “amore, noia e tristezza”, come recita la press release, ma aggiungono una personale sfumatura slacker di riluttante grandeur che le fa scintillare in maniera speciale. Un po' come le migliori canzoni degli Shout Out Louds, il debutto degli Hoorsees sa essere trascinante (Give It Up, su tutte) e malinconico (Videogames) in unico gesto: una caratteristica che si ritrova spesso all’interno delle stesse canzoni, come nell’apertura di Overdry o nel singolo Get Tired.
Hoorsees, uscito per le label francesi Howlin Banana e In Silico, oltre che per la statunitense Kanine, è un album che per la sua immediatezza e "leggerezza" rischia di essere sottovalutato: dategli una seconda chance e questo primo scorcio d'estate suonerà molto più luminoso.
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