Quanto sono rassicuranti e confortanti le liste, gli elenchi, i cataloghi, le scrupolose enumerazioni anche di ciò che non può mai essere ricondotto a ordine. Non c’è davvero bisogno che l’opera arrivi a qualche fine, né che si interrompa. E quanto sono rassicuranti e confortanti i frammenti, l’accumulo di citazioni, schegge, oggetti trovati lungo il cammino che, per il solo gesto di essere raccolti, diventano automatici tasselli, parte di un mosaico. Non c’è davvero bisogno che il mosaico abbia un disegno di senso compiuto. Il semplice fatto di accostare tasselli e comporre il mosaico conferisce già tutto il senso che appaga.
“Just an emo dead stuff collector / Things come to the brain”, canta Florence Cleopatra Shaw in Strong Feelings, consegnandoci una chiave di lettura preziosa di ciò che stiamo ascoltando. Le “cose arrivano al cervello” che – per così dire – canta. Arrivano in eccesso dal mondo là fuori, si ammassano, un caotico collage fatto di materiali riciclati, mezze frasi sentite per strada, commenti su YouTube, pubblicità, ingredienti, istruzioni, associazioni di idee, slogan senza contesto, ritagli di giornale e chissà quale altro rifugio dell’oblio. E quando dico “cervello che canta” intendo esattamente quel tono che ti aspetti possa avere la voce interiore di un cervello messo davanti a un microfono: monocorde, neutra, distaccata.
La Shaw è l’apparentemente impassibile frontwoman dei Dry Cleaning, band londinese che, dopo un paio di EP, quest’anno ha debuttato sulla prestigiosa 4AD con un album intitolato New Long Leg. È lei l’autrice delle liste e dei cataloghi, è lei che colleziona i frammenti e sceglie i materiali del collage. La sua voce posata è il filo che tiene unita la trama della musica dei Dry Cleaning. Appena ti sei convinto che stia facendo la scontrosa, ti spiazza con un suo humour imperscrutabile: “It’s useless to live / I’ve been thinking about eating that hot dog for hours / Kiss me”.
La Shaw è l’apparentemente impassibile frontwoman dei Dry Cleaning, band londinese che, dopo un paio di EP, quest’anno ha debuttato sulla prestigiosa 4AD con un album intitolato New Long Leg. È lei l’autrice delle liste e dei cataloghi, è lei che colleziona i frammenti e sceglie i materiali del collage. La sua voce posata è il filo che tiene unita la trama della musica dei Dry Cleaning. Appena ti sei convinto che stia facendo la scontrosa, ti spiazza con un suo humour imperscrutabile: “It’s useless to live / I’ve been thinking about eating that hot dog for hours / Kiss me”.
La sua esposizione è didascalica: non intona, non lascia trapelare quasi mai emozioni. Porge cortesemente le sue accurate parole: “I’m smiling constantly and people constantly step on me”. Poi scompare dietro le quinte. Quasi mai ti lascia sorgere il sospetto che stia dicendo qualcosa davvero in prima persona: “I think of myself as a hardy banana with that waxy surface / and the small delicate flowers / A woman in aviators firing a bazooka”.
L’austerità della Shaw fornisce il perfetto argine al suono costruito alle sue spalle da Thomas Paul Dowse, alla chitarra, e da Lewis Maynard e Nicholas Buxton, rispettivamente basso e batteria. Un post-punk incalzante e spesso acido che riesce a tenere assieme slanci stridenti, alla Wire o Sonic Youth, con scene più introverse e notturne, che hanno richiamato paragoni con Electrelane e Life Without Buildings. Si può anche ballare (vedi il folgorante singolo Scratchcard Lanyard) e si può anche sfiorare il pop (More Big Birds). Ogni momento di cupezza trova il suo riscatto e il suo opposto, a volte all’interno della stessa canzone, come per esempio nella title track. E di passaggio, ci si imbatte anche in una rarefatta ballata quasi sintetica come Leafy, uno dei momenti più sfuggenti e affascinanti della scaletta.
New Long Leg è un esordio “pesante”, che lascia intuire come i Dry Cleaning siano una band già incredibilmente matura (qui deve esserci anche un po’ di merito anche nella produzione curata da John Parish), e che al tempo stesso può dire ancora molto.
L’austerità della Shaw fornisce il perfetto argine al suono costruito alle sue spalle da Thomas Paul Dowse, alla chitarra, e da Lewis Maynard e Nicholas Buxton, rispettivamente basso e batteria. Un post-punk incalzante e spesso acido che riesce a tenere assieme slanci stridenti, alla Wire o Sonic Youth, con scene più introverse e notturne, che hanno richiamato paragoni con Electrelane e Life Without Buildings. Si può anche ballare (vedi il folgorante singolo Scratchcard Lanyard) e si può anche sfiorare il pop (More Big Birds). Ogni momento di cupezza trova il suo riscatto e il suo opposto, a volte all’interno della stessa canzone, come per esempio nella title track. E di passaggio, ci si imbatte anche in una rarefatta ballata quasi sintetica come Leafy, uno dei momenti più sfuggenti e affascinanti della scaletta.
New Long Leg è un esordio “pesante”, che lascia intuire come i Dry Cleaning siano una band già incredibilmente matura (qui deve esserci anche un po’ di merito anche nella produzione curata da John Parish), e che al tempo stesso può dire ancora molto.
“Too much to ask about / So don’t ask”
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