You thought you had grown up a bit

Sad Eyed Beatniks


Se amate un certo indie rock californiano che si muove tra bassa fedeltà, bedroom pop, "that Dunedin sound" e jangling guitars però sempre un po' storte, avrete notato negli ultimi tempi svariate uscite molto interessanti curate da una laboriosa etichetta con base a San Francisco, la Paisley Shirt Records (Cindy, Flowertown, R.E. Seraphin, Tony Jay...) Le parole con cui si presenta la label rappresentano una dichiarazione d'intenti abbastanza precisa: "Listen to The Boy In The Paisley Shirt by Television Personalities and you'll get a good idea of what we're about". Nulla da eccepire.
Alla guida della Paisley Shirt c'è Kevin Linn, anche lui attivo con un proprio progetto musicale sin dal 2014, i Sad Eyed Beatniks (qui il nome è invece una citazione dei Clean).
Dopo Music From Big White, cassetta del 2019, ora arriva una nuova raccolta dal titolo Places Of Interest, che in un certo senso completa il discorso. Così come il precedente disco raccontava luoghi in cui Linn aveva vissuto e che diventavano lo sfondo per le sue storie, così quest'ultimo si avventura fuori, sembra lasciarsi trasportare dai luoghi stessi, lascia che siano loro a prendere il sopravvento e a parlare con la propria voce.
«Everyone that lives in the city has their own experience; their own story to tell. Places Of Interest doesn’t try to define or frame it in a certain light. Rather, it collects moments of thought, happiness, confusion and puts you where it happened. Places Of Interest is my celebration of the city that I truly love.» 
Sad Eyed Beatniks
Nella musica di Sad Eyed Beatniks sono state rintracciate le più diverse influenze: dai Verlaines agli  Half-Japanese, dai Cleaners From Venus ai Dead Milkmen. Credo sia un modo per mettere in luce il carattere di "weirdness" dentro questo suono, in cui certi colori folk-pop vengono travolti da improvvisi lampi di elettricità, per poi trasformarsi in qualcosa che potrebbe essere twee pop e subito dopo tornare a spingersi verso un garage rock anomalo, psichedelico e irrequieto allo stesso tempo. 
«The bulk of this album is made up of repeatedly listening to The Mekons self-titled album, going
on long walks, learning to play the drums, playing around with varying 4-track cassette
recorders, voice memos on MUNI, and cutting out segments of my favorite tracks and moving
them around.»
Tutto questo mi ha riportato alla mente un'altra band californiana, scioltasi ormai da qualche anno, e forse non abbastanza apprezzata, i The Mantles (se non li avete mai conosciuti, su Aquarium Drunkard c'è un'intervista postuma davvero molto bella). Nonostante le canzoni di Sad Eyed Beatniks a volte vadano alla deriva verso altre sperimentazioni più spigolose, ho ritrovato qui atmosfere in qualche modo affini, la stessa attitudine poetica a un pop perdente e fugace ma non per questo meno energetico e, una volta di più, ho sognato di trovarmi in quella California alternativa, tra "anarco-squats ballads", interminabili viaggi in furgone, e angoli sperduti che possono diventare casa nel tempo di un singolo da un minuto e mezzo.

 

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