"When the world brings you down / I'll be the one who's coming around" canta la ballata I Love Only You, proprio in chiusura di A Strange Dream, il terzo album dei californiani Smokescreens. Potresti scambiarli per due versi qualunque, risapute rime sentimentali buone per tutte le occasioni. “When you need to be found / I'll be the one who's coming around”, mentre il coro continua a rassicurare “I love only you, it’s true”. È una canzone molto Velvet Underground, con una sua schiva solennità: tre minuti risoluti, sfiora appena il climax e poi svanisce.
Era passato qualche giorno, forse un paio di settimane, avevo ascoltato e riascoltato tutto il disco, mi era piaciuto ma avevo altro per la testa: e chi non ce l’ha, di questi tempi? Di questi tempi “the world bring us down” parecchio. E non so per voi, ma per me quella che, nonostante tutto, continua a “coming around” alla fine è sempre la cara veccchia musica. Dischi che sanno toccare tutte le sensazioni giuste come questo degli Smokescreens, dischi che sembrerebbero già cadere dentro qualche categoria preconfezionata (“Alternative / Indiepop / Dunedin sound”), e che invece, al netto delle chiacchiere e del rumore di fondo che ci occupano le orecchie ogni minuto, resistono lì, da qualche parte tra il cuore confuso e i pensieri distratti, dietro la foschia di questo difficile autunno. “I love only you, it’s true”.
E allora ho capito di colpo che questa non è una banale canzone d’amore, ma che a parlare in prima persona era la musica stessa. La musica, che nella mezz’ora precedente si era dispiegata tra svelte jangling guitars Byrdsiane e affettuose ballate che ricordano i Bats o i Go-Betweens, alla fine ti guarda negli occhi e ti dice di sapere tutto e di capire tutto, i tuoi motivi e i tuoi rimpianti, i tuoi sogni e le tue fatiche, e come riesce a fare soltanto lei ti rassicura: lei resta qui. Forse non risolverà ogni cosa, ma quelle parole giuste le sa trovare: “I love only you, it’s true”.
Per questo disco, gli Smokescreens hanno realizzato uno dei sogni della loro vita di musicisti. Dopo tanti anni a sentirsi ripetere che il loro suono era erede dell’estetica Flying Nun e dei Clean, questa volta hanno registrato queste dieci canzoni proprio insieme a David Kilgour degli stessi Clean (che ha pure dipinto la curiosa cover dell’album), e con il fido Kyle Mullarky (già al lavoro sul precedente Used To Yesterday, nonché collaboratore di Allah-Las e Growlers, tra gli altri). Il risultato è un disco praticamente perfetto, scintillante, che esprime al meglio l’idea di musica della band di Los Angeles, e che si candida già per un posto tra le uscite indiepop più memorabili dell’anno.
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