A Highly Textured Ceiling, quarta traccia di Tower Of Age, il nuovo album dei Lithics, mi prende alla sprovvista. Dopo un notevole uno-due da lasciare tramortiti, come Hands e Beat Fall, arriva questo zoppicante strumentale, stridente e sgretolato. Sembra una vecchia scatola di legno da cui scappano fuori molle arrugginite, fili di ferro e ingranaggi che hanno perso ogni perno e ogni bullone. Mentre il basso borbotta e gira in tondo indifferente e impassibile, una chitarra gracchiante tenta di accennare una melodia prima di esalare l'ultimo feedback. Dura appena un minuto ma dopo alcuni ascolti ho capito cosa mi cattura di questo bizzarro intermezzo: per qualche battuta, sembra di intuire la melodia discendente dell'intro di quel capolavoro che è Out Of The Races And Onto The Tracks dei Rapture, però stordita e sfigurata. Come se arrivasse filtrata da qualche delirio. Mi lascia interdetto in mezzo al resto del disco, che pure non risparmia momenti sperimentali, audaci e deragliati. Al tempo stesso, di riflesso, mi sembra renda ancora più evidente quali sono le qualità dei Lithics, ben rappresentate lungo queste tredici canzoni: ritmi serrati, scatti di chitarre taglienti, la grazia della voce di Aubrey Hornor, fredda fin quasi a sembrare monocorde, atmosfere marziali e alienanti. Ci sono groove esplosivi, come Victim's Jacket, ci sono i ritmi ansiosi e frantumati, come nella già ricordata Beat Fall, e ci sono le divagazioni nevrotiche della jam session The Symptom. Un'asciuttezza metronomica pervade questa nuova prova della band di Portland, e per quanto siano evidenti le loro influenze (Bush Tetras, Erase Errata, Kleenex, Gang Of Four... qui c'è una bella playlist ragionata con i loro dischi post-punk preferiti), Tower Of Age emana un fascino strano, severa e potente, come un'ossessione dentro cui non puoi fare a meno di abbandonarti.
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