Tempo sospeso, intorpidito e circolare. Il conforto dietro lo schermo delle abitudini, rimedio contro le ansie, anche quando le abitudini si dissolvono: è tutto un aggiornamento talmente fluido da risultare quasi statico. La melodia sembra immobile, viene sommersa dagli strati del suono. Quando poi cerchi il suono resti intrappolato dentro un ritmo monocorde, così ossessivo da riempire tutto e scomparire.
Uno degli ascolti più assidui e intensi che vorrò ricordare di queste settimane di quarantena è Agitprop Alterna, il secondo album dei Peel Dream Magazine. Si muove su questo stesso tempo, mi è sembrato fatto della stessa materia. Evanescente e persistente in un unico gesto. La primavera è durata un attimo, ho chiuso la porta un giorno che su Bologna scendeva una neve leggera e ora sul terrazzo qui fuori splende l’estate.
Non m’importa che qualche brillante penna abbia definito questo disco, con un sarcastico ossimoro, un “My Bloody Valentine karaoke”: è evidente che il vocabolario sia lo stesso degli Stereolab, dei Broadcast o della band di Kevin Shields e Bilinda Butcher. L’attacco di Pill è una lampante dichiarazione d’intenti, e altrettanta forza ha un singolo come Emotional Devotion Creator, che si avvolge e si innalza attorno a una sola, angelica nota. Droni onirici, organi di sacrestia, chitarre fuzzy che si incaponiscono in circolo dentro lo stesso accordo: non manca nulla a queste canzoni, Agitprop Alterna non si può certo definire un album avaro. Il musicista newyorkese Joe Stevens questa volta è affiancato dalle vocalist Jo-Anne Hyun e Isabella Mingione e dai batteristi Brian Alvarez e Kelly Winrich, innesti che hanno certamente contribuito ad espandere il suono della band.
Ma quello che mi cattura di più nel nuovo lavoro dei Peel Dream Magazine sono certi spostamenti quasi al margine del campo visivo: sfumature più “romantiche” (a volte quasi Rocketship oppure Yo La Tengo) che emergono in pezzi come Too Dumb o nella magnifica conclusione Up And Up. Oppure l’allegria di certi nonsense che alleggeriscono dissipando le atmosfere più cupe, o il gioco tra Eyeballs e The Bertolt Brecht Society che condividono lo stesso testo.
Come questa stagione tutta vissuta attorno al perimetro di un dramma, in cui ogni cosa può diventare sconcertante senza clamore, questo è il suono con cui mi sono ritrovato a misurare il tempo.
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