Walk slowly around each corner of our absent minds

Possible Humans - Everybody Split

A republic in the shape of a banana
King Crimson covering Nirvana
I guess that's my puddle in the sky
And I leave one glove behind

Mi stavo perdendo dentro i testi di Everybody Split, il disco d'esordio dei Possible Humans, ed era una lettura inspiegabilmente appagante, che assomigliava più a un lasciarsi andare alla deriva, di immagine in immagine, trasportati dalle fitte trame di chitarre e dai nonsensi. Era un po' come se quell'inafferrabile flusso di coscienza riflettesse la struttura stessa delle canzoni, il loro scorrere libero ma non scomposto, tra riff che emergono d'improvviso, acuti e taglienti, per poi dilatarsi, dileguarsi e mutare in altri colori.
La musica dei Possible Humans riesce a essere tanto jangling quanto psichedelica; sa avvicinarsi all'indiepop e sbandare sul post-punk; può mettere in mostra evidenti riferimenti come Clean, R.E.M. o Feelies (per esempio, nella nevrotica e magnifica The Thumps), ma anche abbandonarsi a esplorazioni quasi Television, come nei dodici minuti di Born Stoned, o rabbuiarsi alla Wire, come nella paranoica Nomenclature Airspace.
Everybody Split è proprio un disco per me: i Possible Humans fanno base a Melbourne, in formazione hanno Adam Hewitt, già chitarrista degli Stroppies, si definiscono dei "Total Control for sadsacks" e nonostante siano assieme dal 2012 sono arrivati soltanto ora al debutto. Inoltre, l'album è stato prodotto dall'ex Twerps e The Stevens Alex MacFarlane, che ne aveva anche curato la prima pubblicazione sulla sua label Hobbies Galore, mentre ora è stato ristampato in vinile dalla Trouble In Mind di Chicago.
All'ultima traccia, Meredith, il colpo di scena. Di colpo la narrazione si fa quasi lineare, le immagini si rapprendono in una scena plausibile: "I walked you home / I split to the bike path / Just for fear of being crushed / I worried about it too much". Davvero? Alla fine di questi fantastici e sconsiderati quaranta minuti, i Possible Humans decidono davvero di regalarci una fin troppo palese canzone d'amore?
Ovviamente manca il lieto fine: "I just wanna know you / Walk you a little further / But I gave up / And my loose tongue love dumb mouth won". Però la descrizione dell'impacciato protagonista che, nonostante tutto, mantiene viva la propria fiamma di speranza è resa senza filtri: "You'll come back and rescue me from / This whore of a town / Burn it to the ground". Ennesimo lampo di genio, proprio sull'orlo della conclusione, il disco sembra qui rivelare un carattere di circolarità, riallacciandosi alla canzone in apertura, Lung Of The City, un'istantanea tesa che racconta in qualche modo un rapporto di amore e odio con il luogo in cui si vive: "Resenting a home town is lazy, and leaving it doesn’t make you cool, however correct. It’s a relationship worth understanding, because maybe it doesn’t want to see you either".




Commenti