Nella canzone che apre e dà il titolo al suo nuovo album, Mark Monnone a un certo punto confessa di sentirsi "too young to die / too old to try to begin again". È senz'altro un modo per nascondersi e far finta di credersi ancora immaturo. Le tracce successive rincarano la dose: "I wanna hide in yesterday / can't face today outside". Per tendere addirittura all'apocalittico esistenziale con "my days don't know where to begin / they just start and end with nothing in between".
Sembra quasi che Mark Monnone, forse per un eccesso di modestia, qui stia cercando di sfuggire al fatto che Summer Of The Mosquito rappresenta il lavoro migliore della sua carriera solista post-Lucksmiths, quello in cui il cantautore australiano raggiunge una maturità per cui, appunto, potrebbe anche smettere di essere considerato soltanto un "ex-Lucksmiths", per quanto quella storia sia stata fondamentale.
Non dovrebbe essere una sorpresa, ma Summer Of The Mosquito di Monnone Alone si regge benissimo in piedi sulle proprie gambe, e riesce a mostrare una scrittura e una serie di arrangiamenti solidi e sinceramente brillanti, come nell'agrodolce singolo Cut Knuckle, o in The Dystopian Days Of Yore, una delle canzoni più Pastelsiane della raccolta, oppure in Strollers, molto sorniona e Lou Reed. In altri momenti, è una certa influenza Teenage Fanclub a prevalere (Feeling Together Feels Alright ne è l'esempio più riuscito), e risulta un piacevole rafforzamento della scrittura di Monnone. Merito anche delle 12 corde del vecchio compagno di avventure Louis Richter, e forse merito della produzione di Gareth Parton, già in regia per nomi come Foals, Piano Magic e The Go! Team, e già collaboratore anche dello stesso Monnone sull'ultimo album dei Last Leaves.
Per cui ora mettiamo da parte ogni incertezza: "there's a path somewhere with your name upon", canta Monnone verso la fine del disco, e questo Summer Of The Mosquito, dopo quasi tre decenni di carriera, suona decisamente come l'inizio di questo nuovo cammino.
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