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Piccolo thread su Twitter di Matthew Perpetua che mi ha fatto sinceramente e ingenuamente molto piacere leggere, e che ho pensato di salvare su queste pagine. Per chi non lo conoscesse, Perpetua è l'autore di Fluxblog, uno dei primi blog musicali (tuttora in attività), ma è stato anche Music Editor di Buzzfeed, e ha regolarmente collaborato con testate come Rolling Stone, Pitchfork e SPIN, solo per citarne alcune.
Non so cosa abbia scatenato questo suo sfogo, ma è un sentimento che condivido da tempo. Si può riassumere nella esclamazione: "Things were so much better when we just had blogs. We can all still blog!". Se una prima parte di questa frase può essere mossa da un'inevitabile concessione alla nostalgia (ehi, dopotutto eravamo qui quando questa cosa è cominciata: "we blast first, we blast last"), è però anche vero che nessuno ci impedisce di provare soluzioni alternative, e che molto spesso non lo facciamo per pigrizia, per eccesso di prudenza, perché "non rende" o per timore di "uscire troppo dal giro".
L'idea di "underground media" di cui parla Perpetua, animata da spirito di indipendenza e DIY (o fai-da-te, come preferite) è qualcosa che non sento circolare abbastanza nella mia limitata bolla. Ci sono iniziative "dal basso" che vedi puntare a un successo in termini quantitativi, con una - del tutto legittima - ambizione verso qualche successivo contatto più "relevant". Ma se vogliamo sganciarci dalle unità di misura diffuse, accettate o imposte che siano, bisogna anche avere il coraggio di inventarsi altre strade (o vicoli o piazze). A ripensarci oggi, da questo paesaggio di fine 2018, tutto sommato i blog erano un bel quartiere: com'è successo che ci siamo tutti trasferiti? Possiamo fare niente per migliorare l'orizzonte?
Per quanto mi riguarda, la schiva felicità che può dare il perdere tempo per mettere assieme una maldestra fanzine di due foglietti, o un'ora di podcast che ascoltano in quattro, o la recensione amatoriale di un disco uscito un mese fa, è qualcosa che non si può paragonare all'ansia da like di qualsiasi discussione popolare sui social media, né tantomeno a qualche blasonata collaborazione retribuita in proverbiale "visibilità" o poco più. I blog sono stati un ambiente che permetteva tutto questo nella maniera migliore messa a disposizione dalla tecnologia dell'epoca.
E qui arriviamo alla vera domanda chiave del thread di Perpetua: "is everyone really that addicted to engagement?". In un certo senso, è una domanda retorica, e forse anche una domanda da pedante esame di coscienza. Sappiamo bene che è così, che siamo infognati e che è una cosa più grande di noi e dei blog musicali. Ma l'accento ovviamente va su "addicted", con tutto l'universo semantico che si tira dietro, dall'idea di ossessione fino ai ragionamenti intorno ai "drug dealer", metaforici o meno. Considerare l'engagement esasperato e ingolfato del presente come qualcosa di tossico non cambierà lo scenario oggi o domani, ma da qualche parte dobbiamo cominciare. Una parte di risposta razionale (ma qui la razionalità è ridotta a una scaltrezza a doppio taglio) è, come sempre, quella che suggerisce "follow the money" per capire meglio le situazioni. Ma quindi, per l'appunto, torniamo a chiederci: anche quando si tratta solo della nostra piccola nicchia, ci interessa davvero e ci fa sempre bene seguire? Quello che suggerisce Perpetua, con una certa veemenza che mi piace molto, è che abbiamo già a disposizione altri strumenti, se abbiamo voglia di sfruttarli nel modo migliore.
... heard that you were finally leaving
so where'd you go?
maybe it was just a daydream
but who could know? ...
so where'd you go?
maybe it was just a daydream
but who could know? ...
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"Things were so much better when we just listened to indie rock. We can all still listen to indie rock!"