Certi titoli sfasati come Levitating Between 2 Chords o Upper Body Calaesthetics, una citazione di Tommaso d'Aquino piazzata in copertina, suoni ovattati di organi che sembrano arrivare dalla stanza accanto, voci a volte sussurrate, a volte perse tra polverosi riverberi. E soprattutto quel nome: Peel Dream Magazine, un omaggio dichiarato alla figura leggendaria e pionieristica di John Peel, subito però accoppiato con una dimensione onirica. La giovane band di Brooklyn, guidata da Joe Stevens (che ha suonato e registrato tutto in cameretta da solo) ce la mette tutta per ritagliarsi uno spazio immaginario tutto per sé, e ci riesce molto bene, tra palesi rimandi agli Stereolab e ipnotiche ritmiche Kraut a abssa fedeltà (vedi l'apertura di Qi Velocity, Interiors o l'ammiccante Anorak), ma anche con invenzioni che possono richiamare alla mente nomi più vicini e contemporanei, come Proper Ornaments e Ultimate Painting (Shenandoah e Deetjen's), o raffinatezze alla Chris Cohen (Art Today), il tutto ottimamente amalgamato dentro il debutto Modern Meta Physic, altro titolo graziosamente avant-Sadier.
Sono stati "scoperti" da Shaun Durkan (Weekend / Tamaryn) e hanno la benedizione di Mike Schulman della Slumberland Records: mi pare sia già un curriculum notevole per degli esordienti. In più, Stevens sembra mostrare una buona consapevolezza dei propri mezzi e del proprio ruolo di musicista oggi: "Pop music and art in general can be very political when you bend rules. Seeking out new territory and breaking violating old maxims is very exciting. Indie Pop needs that right now".
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