Questo piccolo post non parla direttamente di musica, ma del mondo dentro cui la musica suona, del mondo in cui la musica dovrebbe portare in qualche misura piacere, il mondo in cui viviamo anche quando non parliamo di musica. Il giornalista musicale Paolo Madeddu ha scritto sul suo blog A Margine un ottimo articolo in cui passa in rassegna alcune recenti uscite pubbliche tra social e interviste di molti importanti cantanti italiani:
«Primo, è legittimo non avere un’opinione. Persino in Italia."Marginalità – Cantanti italiani e (...senza offesa) impegno nel 2018", per quanto possa essere giudicata ancora parziale, è una lettura che trovo significativa e che mi ha colpito. Se ne parlava proprio in questi giorni con un po' di amici: questo è il nostro Paese oggi, l'Italia che dovremo spiegare prima di tutto a noi stessi un giorno, e a quelli a cui la lasceremo. Io sono sempre più a disagio, soprattutto a parlare soltanto di musica.
Secondo, è legittimo non capirci niente.
Terzo, sono tanti i personaggi autorevoli – o presunti tali – che in questa fase se ne restano silenti, magari per capire meglio da che parte tirerà il vento.
Quarto, là fuori c’è gente con le zanne, gente che augura stupri e morte a te e ai tuoi figli.
Quinto, anche il più anarcoide degli artisti ha un manager. Che ogni giorno cerca di evitare imprudenze. E gli concede, al massimo, di saltare su carri del vincitore, purché sia l’uomo giusto al momento giusto – tra i cantanti Veltroni aveva sicuramente più amici di Renzi, e Grillo aveva più amici di Di Maio.»
Non si chiede ai nostri cantanti mainstream o indie di essere tutti dei Bruce Springsteen, ma lascia sconcertati quanto poco si adoperi chi gode di un'ampia platea per mostrare di avere anche soltanto un po' di buon senso. Non occorre dichiararsi esperti di politica per riconoscere che chi ci dovrebbe governare si sta comportando da irresponsabile, o in maniera preoccupante, dannosa e potenzialmente pericolosa, alzando il livello dello scontro come se non ci fossero conseguenze. L'ipocrisia che pervade questa stagione è evidente. Non si tratta nemmeno più di un problema di “comunicazione”: stiamo vivendo in un mondo che parla come un coro da stadio ventiquattr'ore su ventiquattro, con relativa intelligenza, ed è una situazione logorante. Mi sembra chiaro che lo si faccia sempre più consapevolmente e apertamente, con pervicacia, per usare un termine logoro e in apparenza anacronistico.
Il pezzo di Madeddu mi ricorda che rifugiarsi nella musica, nella propria nicchia, dietro a un "questo è soltanto un piccolo blog, cosa potrebbe mai fare" è sempre meno sufficiente. D'accordo, saranno soltanto "marginalità", ma sono le nostre, cominciamo da qualche parte, cominciamo a tenere queste, mostriamoci di più, con un po' più di coraggio.
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