Puoi esibire sin dalla prima nota le tue influenze, mettere in chiaro da subito quale sarà la tua lingua, eppure non riuscire lo stesso a comunicare nulla. I più gentili dei tuoi ascoltatori ti liquideranno come "band derivativa" e di solito finisce lì. Per la sovrabbondanza di musica attuale non sarà un dramma, figuriamoci per tutto il modernariato della "musica fatta con le chitarre". Se, invece, riuscirai nel piccolo prodigio di trovare la tua voce, pur prendendo a prestito una grammatica di altri, non facendo nulla per nasconderlo, e indovinerai la tua via per colpire ed emozionare, allora avrai creato qualcosa di potente. Gli Human Colonies, trio diviso tra Bologna e Firenze, sono un piccolo ma formidabile esempio di come, a volte, in musica due più due possa fare cinque. Il loro nuovo EP intitolato Big Domino Vortex (pubblicato da Lady Sometimes e da MiaCameretta) si apre con Sirio, tutta costruita su feedback e pitch bending apertamente alla My Bloody Valentine. Eppure è un portento, parte da lì per rivelarti il suo carattere scontroso e schivo, ma non per questo meno seducente. Le canzoni degli Human Colonies trascinano, soprattutto quando si fanno più fragorose e veloci, come nella title track, con il suo coretto capriccioso, o in Kleio, che potresti quasi immaginare in una roca cover di J Mascis con i suoi Dinosaur Jr. In queste cinque tracce c'è tutto quello che da sempre conosciamo dello shoegaze, ma nemmeno per un istante si scade in una monotona replica in scala di cose già vissute altrove. Dopo questa ottima prova, sembrano pronti per un lavoro sulla lunga distanza che mostri profondità, cuore e immaginazione.
Puoi esibire sin dalla prima nota le tue influenze, mettere in chiaro da subito quale sarà la tua lingua, eppure non riuscire lo stesso a comunicare nulla. I più gentili dei tuoi ascoltatori ti liquideranno come "band derivativa" e di solito finisce lì. Per la sovrabbondanza di musica attuale non sarà un dramma, figuriamoci per tutto il modernariato della "musica fatta con le chitarre". Se, invece, riuscirai nel piccolo prodigio di trovare la tua voce, pur prendendo a prestito una grammatica di altri, non facendo nulla per nasconderlo, e indovinerai la tua via per colpire ed emozionare, allora avrai creato qualcosa di potente. Gli Human Colonies, trio diviso tra Bologna e Firenze, sono un piccolo ma formidabile esempio di come, a volte, in musica due più due possa fare cinque. Il loro nuovo EP intitolato Big Domino Vortex (pubblicato da Lady Sometimes e da MiaCameretta) si apre con Sirio, tutta costruita su feedback e pitch bending apertamente alla My Bloody Valentine. Eppure è un portento, parte da lì per rivelarti il suo carattere scontroso e schivo, ma non per questo meno seducente. Le canzoni degli Human Colonies trascinano, soprattutto quando si fanno più fragorose e veloci, come nella title track, con il suo coretto capriccioso, o in Kleio, che potresti quasi immaginare in una roca cover di J Mascis con i suoi Dinosaur Jr. In queste cinque tracce c'è tutto quello che da sempre conosciamo dello shoegaze, ma nemmeno per un istante si scade in una monotona replica in scala di cose già vissute altrove. Dopo questa ottima prova, sembrano pronti per un lavoro sulla lunga distanza che mostri profondità, cuore e immaginazione.
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