Do you remember, baby, back in '96?
When some record was enough to make you raise your fist?
When some singer'd make you sure that you exist?
Well, I never thought I'd feel like that again
Just let go
Quando aveva presentato al mondo il nuovo disco a nome Okkervil River, questo tormentato e toccante Away che nonostante tutto torno spesso ad ascoltare con grande piacere, ora che i giorni cominciano ad accorciarsi e i desideri si raggomitolano in cerca di un focolare, Will Sheff aveva usato una frase che mi aveva colpito: "I felt like I didn’t know where I belonged". Le fondamenta che reggono tutta la scrittura di queste canzoni sembravano mostrarsi già qui, nel dolore per la doppia perdita: quella del lutto (suo nonno T. Holmes Moore, "who was my idol") e quella della motivazione a vivere. Sappiamo bene quanto musica e vita, visione estetica e biografia, nella storia degli Okkervil River siano legati e incarnati nella stessa persona di Sheff. Volendo accostare la sua voce a quella di una voce narrante che, disco dopo disco come romanzo dopo romanzo, sta dispiegando una storia, la sua reale difficoltà a scrivere si rispecchia nel senso di smarrimento di fronte al vivere, al senso da dare al succedere dei giorni. Non è una semplice paura della morte: "I'm not scared to die as long as I know that the universe has something really to do with me" (Call Yourself Renee). Ma il modo in cui l'arrivo di una morte riesce a disfare la trama che prima teneva assieme questo vivere ordinario può lasciarti a terra, senza parole né senso. Non trovare più il filo del discorso dei giorni diventa quasi la stessa cosa con il non poter più vivere la scrittura come prima.
Non tutto è così cupo dentro Away. Dopotutto, un disco è nato anche da una stagione tanto difficile e drammatica per Will Sheff. Ed è anche un disco che ha i suoi momenti maestosi, di una bellezza non serena ma trascinante. Per esempio, quei finali in crescendo (come nel singolo d'apertura), quegli arrangiamenti orchestrali come in Comes Indiana Through The Smoke, dove addirittura la stessa tromba di T. Homes Moore risuona e splende. E soprattutto nel sorprendente finale, la sospesa, oscillante e impalpabile Days Spent Floating (In The Halfbetween), che quasi si colora di jazz.
I recall when things were way more fun around here
But the Sky Man reminds me I'm almost a ghost of myself
It seems to me everything fine fell away
Mi sono sorpreso a domandarmi cosa mi rimane di questo disco. Gli Okkervil River non sono, o almeno non sono stati, una band qualunque, da mettere sullo scaffale e archiviare. Mi sono chiesto perché questo disco, in fondo, non mi sembrasse così bello, perché insistessi a immergermi nella sua malinconia così poco consolante ("Just one day, I want to have died for a day / To disappear between two notes in a twelve-tone scale"). Credo che sia un disco impegnativo, che evita le strade più facili (o quelle più battute da Will Sheff in passato) per piacermi, e che a me piace di più all'imbrunire.
Una parte di me lo ascolta perché un po' assomiglia a me che cerco di ascoltare ancora gli Okkervil River, e mentre scorrono le canzoni mi ricordo di com'era quando sapevamo a memoria strofe ben più verbose e prolisse di queste, tanti anni fa. Parlando di una perdita ben più grande e devastante, Will Sheff riesce a scrivere anche l'ombra della nostra perdita, la maniera senza clemenza con cui negli anni ci siamo spogliati di noi stessi, abbiamo abbandonato costumi e parole che avevamo fatto nostri. E dopotutto siamo sempre qui, all'inizio di un nuovo autunno, abbiamo nuovi dischi, e Will Sheff ha nuovi musicisti e nuove canzoni. Okkervil River R.I.P.
Okkervil River - The Industry
Okkervil River - Okkervil River R.I.P.
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