È un disgelo o un corso di nuoto?

ACTION DEAD MOUSE - CASCATA

Ho comprato un paio di cuffie al negozietto dei cinesi. Quattro euro e novanta. La qualità è più scadente, ma ogni tanto hai voglia di inseguire soddisfazioni effimere, per esempio l'appagante disubbidienza del non comprare ricambi originali e troppo costosi. Ah, che rivincita. A metà di Helvetica, la canzone che chiude il nuovo album degli Action Dead Mouse, quando dopo un attacco vibrante e post-rock, il basso ingrana, le chitarre si gonfiano e ogni cosa esplode, queste piccole cuffie non ce la fanno. Il suono si satura e sembra uscire da un tubo, sopraffatto e tremante al tempo stesso. Ho ascoltato il disco anche sullo stereo a casa, so "come dovrebbe essere", più o meno, ma mi affascina l'effetto di impetuosa fragilità che sento in cuffia, mentre porto Cascata in giro con me. Io ormai voglio sentire che le cuffie non ce la fanno, che affogano. E poi ritorna la voce. Mentre nella prima della canzone parte trascina le parole, nella seconda strofa comincia a gridare, incalza, non capisci se con più furia o più frustrazione: "ho pensato spesso all'estate [...] alla prospettiva della nostra vita, per una volta, in un carattere semplice ed essenziale". Io sono lì, in silenzio, lui urla e le cuffie grondano suoni distorti. C'è un momento perfetto in cui tutto è isolato, scontornato e nitido, ovunque mi trovi.
"Ci vuole un bel coraggio a rimanere soli, di questi tempi" (Cantieri).
La musica degli Action Dead Mouse arriva dal post-hardcore, ma forse non ha senso che io tiri fuori dei riferimenti che non mi appartengono davvero, anche se ho visto in concerto decine di volte le band a cui di solito vengono accostati. Io sto soltanto ascoltando questo disco che mi è arrivato addosso, ci siamo solo io e lui. La musica potrebbe anche disfare le cuffie, farle sciogliere o bruciare. Non sarebbe così fuori luogo, anche se in questo disco uno dei fili conduttori è, al contrario, l'acqua.
"Fiumi, terre emerse, oceani che ci toccano appena i piedi. Diventeremo vecchi, bagnati come stracci su questi pavimenti sporchi, malati degli inverni": è la potente immagine con cui si apre l'intero lavoro. Ma subito dopo tutto precipita, e in qualche modo si raccoglie intorno a una ben misera considerazione: "Io sono bravo solo a ridere di niente". Tra questi due poli opposti, tra l'ambizione di sferrare l'ultimo colpo al cielo e le mortificate osservazioni del quotidiano ("Volevo fare una cosa matura, come lavare i vestiti puliti che nessuno usa da tempo"), si fa avanti il personaggio di questi racconti. Sì, per me alla fine assomigliano a puri racconti, con l'aggiunta del fragore martellante, scandito, loop contro loop. Lui si fa avanti e continua a cercare "domande che a furia di ripeterle diventano risposte". Io metto le cuffie e lo seguo.







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