Avevamo detto che non ci saremmo passati mai più. Avevamo detto che dovevamo parlarne. Affrontiamo questa cosa subito, prima che sia troppo tardi. Tu dici che ora non vuoi più morire: parliamo e non lasciamo che questa tristezza diventi ciò che siamo. No One's Coming For Us, album d'esordio dei Trust Fund, si apre in questo modo brutale: Sadness non racconta il dramma di un suicidio, che avrebbe spazzato via tutto, ma la spossante fatica dell'affrontare il giorno dopo di chi non ce la fa ad ammazzarsi, la pena di capire come tornare a qualcosa di simile alla vita normale, capire come andare avanti. All'altro capo del disco, a chiudere la scaletta, c'è Unwieldy Foam, in cui si abbandona una casa dopo una separazione. Solo che la separazione è avvenuta quattro anni prima ("four years have gone to waste"). Sembra impossibile staccarsi dalle più piccole cose, anche dalla polvere, dalle penne ormai inservibili: "your stuff is mainly dust now, I still carry it around from house to house". Da qualche parte dentro di me continuo a parlarti, vorrei anche rivederti ("I want to know your face is ageing"). Una tristezza patologica, che potrebbe essere la stessa premessa della canzone di apertura. L'intero No One's Coming For Us sembra descrivere questa circolarità, l'ossessività dei pensieri che ci sommergono quando qualcosa si spezza per sempre. Non si parla più d'amore, né della sua mancanza. A volte si parla del parlare d'amore, in estenuanti tentativi di chiarimento, scuse, giustificazioni: "I'm not here to make you feel anxious or afraid" (Forevre). Più spesso si parla di qualcosa che è passato, che non può più succedere eppure non riesce ancora a congedarsi dal presente: “millions of times in this park we have spoken / in the rain I laid my head on your lap and I said it was over" (Jumper). Ci sono momenti in cui l'attaccamento si fa morboso: "I can't even finish breakfast without texting you. I'm sick" (January), mentre la disperazione raggiunge una dimensione quasi maniacale: "baby, I don't think you understand that after the last time you literally aren't allowed to leave me" (Essay To Write).
Trovarsi a leggere questo disco con un'attenzione appena superiore a quella che concediamo oggi ai nostri ascolti musicali (più che altro rapidi aggiornamenti per ragioni di socializzazione) può essere francamente straziante. Sono consapevole che potrei essermi costruito un'idea del tutto distorta di quello che i Trust Fund cercano di dire. Il frontman Ellis Jones in un'intervista sembra prendere le distanze da queste canzoni e dal tentativo di interpretarle in maniera troppo personale. Eppure fanno male, malissimo, e anche una scarna ballata come IDK, un desolato dialogo d'addio, può lasciare lacerati nella sua disarmante semplicità: "will it come back the same again? No, not really".
Musicalmente la band di Bristol, nei passaggi migliori del disco (Cut Me Out su tutti), mette in pratica una versione lo-fi e da cameretta di una formula che potremmo definire grosso modo "alla Pixies", alternando repentini squarci di rumore e spavaldi riff di chitarra a parti acustiche e più fragili. Le recensioni lette in giro tirano spesso in ballo il riferimento degli Weezer. A me sembrano più affini i cari vecchi Envelopes, che avevano canzoni altrettanto belle, ma che al posto della componente sentimentale dei Trust Fund giocavano la carta surreale (e forse per questo non hanno raccolto il successo meritato). Ellis canta spesso in un falsetto ostinato, che a tratti potrebbe indispettire, soprattutto se contrapposto alla delicatezza dei temi. Eppure alla fine tutto funziona, e No One's Coming For Us non mostra un attimo di cedimento, anzi, non concede un attimo di tregua, nemmeno quando sembra farsi più intimo. Disco strepitoso, feroce ed equilibrato in maniera sconcertante: se consideriamo che si tratta di un debutto, sono pronto a scommettere che l'indiepop ha trovato una nuova grande band.
(mp3) Trust Fund - Essay To Write
(mp3) Trust Fund - Cut Me Out
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