Maschio, bianco, eterosessuale: direi che ho tutte le carte in regola per NON parlare delle Girlpool. La musica del duo di Los Angeles ti fa venire il dubbio che potresti trattare ogni argomento dal punto di vista sbagliato, nel modo sbagliato, per qualche scopo sbagliato. Ma sto ascoltando tantissimo il loro EP di debutto, e mi pare ingiusto concludere l'anno senza lasciarne traccia qui sul blog. Negli ultimi due o tre anni mi sembra sempre più diffusa nel mondo musicale, sia indie che mainstream, una rinnovata consapevolezza riguardo alle problematiche di genere e al femminismo (parola che mi sembra sempre di usare come una semplificazione, ma che credo sia necessario spendere). Forse perché leggo troppe webzine americane tipo Rookie o Le Sigh (e dalle nostre parti non dimentichiamo il lavoro di Softrevolution), o forse perché, d'altra parte, la situazione per le donne sta diventando sempre più insostenibile. E così arriviamo a queste canzoni: uno schiaffo in faccia. Nonostante siano composte soltanto da chitarra, basso e due voci (due voci sempre intense, chiare, penetranti), le canzoni delle Girlpool risultano ogni volta più forti di quello che ti aspetteresti. A prima vista, qualcuno potrebbe dire che manca un sacco di roba, che queste due tipe dall'aria un po' scoppiata sono delle dilettanti. Ma se presti attenzione ti accorgi che "lo spazio" dentro la musica è messo lì apposta per farti concentrare su qualcosa d'altro. Per esempio, sui versi (rime semplici, una franchezza disarmante) e sul perché quei versi sono scritti in quel modo. "The pain is an endless cycle" notano le Girlpool in Plants And Worms, e si potrebbe dire che forse è l'osservazione da cui prende le mosse tutto il disco. Quali sono le cause di questo dolore? Esiste soluzione? "It's hard to see things simply", dice un altro verso poco più avanti: un modo per rispondere a chi vede nel loro suono soltanto un approccio "facile", minimalista. Quando una volta si parlava di punk si usava spesso la parola "urgenza". Ecco, per queste due ragazze che in fondo prendono delle forme del folk, le scarnificano e sanno incendiarle con la loro vita, la parola urgenza sembra tornare utilissima. Non è soltanto qualche somma algebrica tra Breeders, Beat Happening, riot-grrrl e via dicendo. C'è un intero mondo dentro il quarto d'ora scarso di questo disco, dentro questi strilli e dentro queste parole sussurrate. C'è la voglia di divertirsi ("Love spell / go to hell / drink my wine / everything's fine"), la dolorosa necessità di amare (Blah Blah Blah), il sesso ("it's not enough to watch a movie / eat me out to American Beauty"), la politica ("I don't wanna get fucked by a fucked society"), l'orgoglio ("You were born for a reason / share all your feelings / If you are a Jane / put your fist up, too"). Ma soprattutto nella musica delle Girlpool trovo uno sguardo sincero e aperto che mi fa passare la voglia di mettermi a pontificare su qualunque "già sentito / già detto" possibile. Harmony Tividad e Cleo Tucker hanno diciotto anni, e in una delle loro canzoni più belle e commoventi, la dichiarazione d'amore Chinatown, purtroppo ancora inedita, arrivano quasi con stupore a domandarsi per la prima volta "do you feel restless when you realize you're alive?". Non vorrei rovinare per nulla al mondo questo momento. Ascoltatele.
(mp3) Girlpool - Slutmouth
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