Ancora prima di presentare God Help The Girl al Sundance Festival, Stuart Murdoch metteva le mani avanti: il film sarebbe un "musical for people who don't like musicals". Dopo averlo visto, mi sento di aggiungere di più: questo film è un documentario in forma di musical. Tutte quelle immagini sullo schermo che non vanno a raccontare nessuna storia non possono che avere scopo divulgativo o di studio. Il soggetto di tale documentario sono post-adolescenti musicisti dilettanti che scrivono delicate canzoni nella loro cameretta, ascoltano vecchi 45 giri con giradischi portatili, usano ancora immacolate musicassette oppure forbici, colla e fotocopie per rendere nota al mondo la propria esistenza, hanno un debole per i vestiti di seconda mano, si innamorano senza mai riuscire a dirlo e baciano sempre al momento sbagliato. Insomma, il quadro è abbastanza chiaro: il debutto alla regia del cantante dei Belle and Sebastian è un documentario sul mondo indiepop. Chi l'avrebbe mai detto!
Molti dei difetti che sono stati rilevati a God Help The Girl possono riassumersi nelle stesse critiche che, a un certo punto della storia, un personaggio di contorno, giovane cantante di successo, rivolge alla protagonista, giovane cantautrice ancora piena di speranze: "il tuo suono è troppo ingenuo, [...] hai bisogno di registrare con un'attrezzatura più adatta, i tuoi testi sono sono deprimenti e autoreferenziali, queste canzoni sono infantili!". Stuart Murdoch deve avere sentito quelle parole non poche volte all'inizio della propria carriera musicale. A differenza dei dischi dei Belle and Sebastian, però, il tentativo di God Help The Girl di fare poesia a partire da elementi semplici trattati con una sensibilità limpida e un sofisticato senso dell'umorismo funziona solo in parte.
Tre ragazzi abbastanza emarginati si conoscono e decidono di mettere in piedi una band: c'è una storia d'amore, c'è una storia di guarigione e ci sono alcune piccole avventure di contorno. Olly Alexander ha una faccia che racchiude tutti gli stereotipi del genere, ma i tre personaggi principali (soprattutto quello interpretato dalla pur brava Hannah Murray) non sembrano mai abbastanza completi, e d'altra parte sono troppo precari e complessi per avere la leggerezza di favola, a due dimensioni, da fumetto. Eppure, o forse proprio per questo, i numeri musicali si innestano nel racconto con una grazia che fa di tutto per essere spontanea e che finisce spesso per strappare almeno un sorriso. Purtroppo le canzoni di God Help The Girl (parlo del disco da cui la storia prende le mosse) non mi sono mai sembrate tra le migliori scritte da Murdoch, ma questa è soltanto la mia opinione. La voce di Emily Browning è soave quanto basta e si lascia apprezzare, quasi tutti i componenti dei Belle and Sebastian si prestano a suonare sullo schermo, e in più fanno qualche comparsata anche Lee Thomson (Camera Obscura), i Wake The President, i We Are The Physics, la signora Murdoch in persona, Marisa Privitera, e di sicuro qualcun altro che mi è sfuggito.
A parte queste note un po' nerd, e a parte il fatto che a Stuart Murdoch sono disposto a perdonare anche l'idea di mettere in piedi un musical, bisogna dire che ci sono alcuni, non tantissimi, momenti in cui il film sembra ingranare: la gita in canoa, la discussione sul nome da dare alla band, le corse Nouvelle Vague, la prima canzone tra Eve e James, il primo balletto a tre. Ecco, mentre vedevo alcune sequenze sgranate da Super 8 (sogno? flashback?) mi è tornato in mente il dvd "Fans Only" che la Jeepster pubblicò all'inizio dei Duemila, come sintesi della prima parte della carriera della band scozzese. I Belle And Sebastian erano quelli, con quelle stesse immagini, erano già il racconto di sé stessi come gruppo, da sempre: un racconto lieve, appassionato e sentimentale. Erano sorrisi sinceri anche se il cielo era grigio, erano quaderni fitti di parole scritte a mano (la voce di Stuart David che spiega la nascita delle ink polaroids!), erano biciclette in salita con la città sullo sfondo, tazze di tè caldo e abbracci e musica bellissima. Quello che invece la storiella un po' Wes-Anderson-wannabe di God Help The Girl purtroppo non è capace di scrollarsi di dosso è di sembrare un racconto di seconda mano, poco spontaneo proprio perché non gli riesce di amalgamare elementi che già conoscevamo con qualche ingrediente nuovo, un nuovo slancio. E se Fans Only era allora un titolo a suo modo ironico e affettuoso, oggi rischia di sembrare più appropriato per questo nuovo lavoro di Murdoch.
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