Quando avevamo tipo quattordici o quindici anni, io e il mio amico Dj Peedoo eravamo fissati con le cassette che quelli più grandi portavano a casa dalle serate in disco a cui noi non potevamo andare. Per dieci o ventimila lire avevi questi novanta minuti, spesso registrati live, provenienti da un altro pianeta, lontano e misterioso. Gli anni d'oro della House di Chicago erano dietro l'angolo ma noi non l'avevamo saputo. La Summer Of Love ci era passata sopra la testa e noi al massimo giravamo in bicicletta per la campagna raccontandoci quello che avevamo sentito dire di Ibiza al bar. Quelle cassette rappresentavano quasi l'unica testimonianza reale di un mondo che stavamo soltanto fantasticando.
Le mie cassette preferite erano quelle che arrivavano da certi after-hours che i nostri amici introdotti frequentavano per lavoro. Mi sembrava bellissimo che dopo una notte di cassa in quattro ci fosse qualcuno che avesse ancora energie da spendere, e non mi importava come e perché, lo sapevo, ma era la musica che contava e spingeva in alto. Le feste delle sette di mattina avevano un suono del tutto differente: i bpm più bassi, tappeti di archi come una brezza e colori che di notte non ti potevi permettere.
La canzone che mi illuminava più di tutte era The Whistle Song, scontata finché vuoi ma a noi era arrivata quella, e dopo non sarebbe stata più la stessa cosa. E anche se eravamo degli sbarbi sapevamo già che Frankie Knuckles era chiamato "the Godfather of House Music". Rispetto. Mentre l'anthem Your Love era una questione di seduzione, pelle, sudore e sussurri, corpi al buio tesi verso un crescendo dirompente, Whistle Song viaggiava tutta ad alta quota, pura melodia senza bordi. Le quattro note del ritornello rimbalzavano su quella batteria tagliata secchissima con una spensieratezza inedita per noi, e anche il basso sembrava giocare leggero a rincorrerla. Mentre i raggi del sole che sorgeva si riflettevano sul mare, quel solo di flauto sembrava non finire mai: era l'alba fatta musica, e anche se era estate avevi la pelle d'oca. Eravamo così presi da questo miraggio degli after e della nostra prima house che certe domeniche mattina Piddu e io puntavamo la sveglia alle sei per trovarci a mettere dischi e registrare le nostre cassette. Se due ragazzini sfigati di provincia lontani da qualunque cosa potevano dimostrare amore per un suono nato prima di loro in un posto che non avevano mai visto, beh quello era il modo in cui noi senza capirci niente ci stavamo provando. A quell'età la House era qualcosa in cui potevi davvero credere senza problemi.
Quando stamattina ho letto la notizia della morte di Frankie Knuckles mi è dispiaciuto un bel po', e ho provato una fitta di nostalgia (la nostalgia che nella musica di Knuckles in qualche modo era sempre presente - non proprio facile, per uno che fa "roba da ballare"). Mi sono ricordato di quanto era meraviglioso, enormemente meraviglioso, provare tutto quell'entusiasmo, e di come quel suono e l'amore per quel suono - quanto di più lontano dall'indie, diresti - ci abbiano formato e fatto crescere.
Tra i tanti necrologi apparsi subito in rete, mi sono fermato nella sua città, sul pezzo di Greg Kot sul Chicago Tribune. E la citazione con cui si chiude, concisa, in apparenza semplice ed elementare, è quella che voglio mettere anche qui, perché spiega una cosa che la musica di Knuckles mi aveva fatto già capire più di vent'anni fa: "I think dancing is one of the best things anyone can do for themselves. And it doesn’t cost anything.”
(mp3) The Whistle Song
(mp3) Your Love
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