La chiave migliore per leggere Atlas, il nuovo album dei Real Estate, l'ho trovata dentro la seconda canzone del disco, Past Lives:
"This is not the same place I used to know / But it still has that same old sound".
È andata proprio così. Nella terza prova della band del New Jersey mi è sembrato di ritrovare quasi tutto quello che mi aveva fatto amare il loro precedente Days in maniera viscerale e a un livello che in questi anni di consumi istantanei di dischi non succede spesso. Eppure questa volta non mi è riuscito di provare lo stesso entusiasmo.
Il suono è quello che già conoscevo ma il luogo non è più familiare. Le pigre jangling guitars di Matt Mondanile che scintillano, la voce sempre morbidissima di Martin Courtney, il passo sicuro della sezione ritmica di Alex Bleeker e Jackson Pollis: è tutto ancora qui, dove lo avevo lasciato. Ma le canzoni mi scivolano soltanto addosso, gradevoli e cullanti, e poi? In fondo alla scaletta ne ricordo poche: il bel singolo Talking Backwards, la già citata Past Lives, la tristissima e conclusiva Navigator.
Pitchfork, che pure parla bene del disco, ha sintetizzato un'immagine che calza alla perfezione: «The once-ideal pool party band has turned to soundtracking the cleanup: everyone's gone, the sky's threatening rain, there are cigarette butts floating in the pool, and we've all gotta work tomorrow».
Quell'idea di sospensione e leggerezza che la musica dei Real Estate mi ha sempre trasmesso ha preso ora una sfumatura più opaca. Il disco si chiude con l'immagine di qualcuno che "resta a fissare le ombre", ma non suona più come l'andare alla deriva nei pomeriggi della provincia in cui mi riconoscevo. Nel giro di mezza strofa comincia già a fare mattina, ci sono lancette di orologio che non si fermano, sembrano delle mani e i Real Estate cantano di non sapere più dove se ne sono volati i giorni. Giorni. Days.
(mp3) Real Estate - Navigator
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