L'album di debutto di King Krule, Six Feet Beneath The Moon, è uno di quei dischi che portano già scritto sopra "Top10 di fine anno" ancora prima di uscire. Quei dischi che fanno ritrovare la vocazione ai critici musicali. L'esaltazione della fede nello sviscerare radici e confluenze a partire da una formula che è già un prodigio in partenza: The Streets + Tom Waits (e che comunque Archy Marshall porta avanti dai tempi di Zoo Kid, almeno un paio d'anni fa). Anche le stroncature peggiori sono riuscite inconsapevolmente a tesserne le lodi, ma in generale il ragazzino dai capelli rossi ha convinto più o meno tutti.
Una delle sintesi che mi piace di più è quella di Fabio De Luca su Rolling Stone di settembre: «quello che King Krule opera al corpo del Rock'n'Roll ricorda un po' certo indugiare sul rockabilly delle origini di certi Suicide: con meno angoscia e urgenza esistenziale, e infinitamente più consapevolezza estetica da "generazione selfie"». Niente male, eh?
Ok, fino a qui tutto bene, dunque. Ma quando si balla? Per fortuna qui entra in gioco Fabio Calzolari, in arte Fab Mayday, che prende la traccia d'apertura dell'album, Easy Easy, le fornisce semplicemente una robusta cassa dritta e la trasforma in pezzo spaccapista da indie club (se esistono ancora nel 2013) come non ne sentivo da parecchio tempo. King Krule mostra quell'anima post-punk che non ti aspetti e che con quella voce strappa tutto.
Dice Fab: "niente trucchi, ho usato alcuni campioni che secondo me ci stavano bene e poi in studio di registrazione abbiamo cercato di rendere la traccia di batteria ancora più old con un emulatore di nastro. E poi ci sono le ripetute sul rullante, stile Joy Division :-)".
L'effetto finale per me è devastante, soprattutto se avete presente l'originale. Probabile merito della conoscenza acquisita "sul campo", con la serata Friday I'm In Rock che Fab cura allo Urban di Perugia. Da quelle parti devono divertirsi parecchio. Easy.
[Grazie ai Tiger!Shit!Tiger!Tiger! per la segnalazione!]
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