The suburbs are on fire
Sarà pigrizia, ma dopo aver cominciato a scrivere un post due o tre volte, devo ammettere di non avere nessuna voglia di provare a dire anch'io la mia sul nuovo album degli Arcade Fire. Abbiamo già letto commenti e recensioni ovunque. Inutile che ci giri intorno: Suburbs è un ottimo disco, meticoloso e consapevole, ma è improbabile che mi cambierà la vita. E questo non è certo un suo difetto o un problema della band canadese. In un certo senso, è come se gli Arcade Fire fossero ormai diventati una bellissima montagna, con cime spettacolari e rocce che restituiscono colori mozzafiato a tutte le ore, ma che domina troppo dall'alto il traffico del mio piccolo paese. Di quando in quando ci godiamo il tramonto, e certe albe commuovono sempre, ma nessuno resta tutto il giorno fermo lì davanti.
Quello che però volevo dire è che Suburbs ha provacato alcuni interessanti pezzi di scrittura musicale, come solo pochi dischi davvero importanti riescono a fare ogni anno. In parte sono dovuti alle canzoni e al concept di questo disco (per quanto meno apocalittico del solito), in parte dovuti al numero uno in classifica conquistato la settimana della sua uscita.
Prendiamola larga. Tom Ewing segnala un formidabile articolo di Helena Fitzgerald su The New Inquiry che, senza nulla togliere al valore musicale dell'album, riflette intorno a dove sia finita l'idea di Rock come ribellione nell'epoca dell'indie rock ormai adulto, proprio partendo dall'elegia della provincia cantata in Suburbs:
Nitsuh Abebe racconta in maniera dettagliata come l'evoluzione del suono degli Arcade Fire sia stata per lui inattesa, e ora la band gli sembri in qualche modo più "lontana":
C'è poi chi, come Ben Sisario sul New York Times, che riflette sul loro primo posto in classifica, sul significato che questo ha per il genere indie (ancora?) e sull'inevitabile backlash che ciò comporterà. Partendo "dal caso Suburbs", Zach Baron trae un curioso specchietto dello stato di salute della musica indie nel 2010:
>>>(mp3): Arcade Fire - Sprawl 3.0 (Rotiv mix) - trovata qui
Sarà pigrizia, ma dopo aver cominciato a scrivere un post due o tre volte, devo ammettere di non avere nessuna voglia di provare a dire anch'io la mia sul nuovo album degli Arcade Fire. Abbiamo già letto commenti e recensioni ovunque. Inutile che ci giri intorno: Suburbs è un ottimo disco, meticoloso e consapevole, ma è improbabile che mi cambierà la vita. E questo non è certo un suo difetto o un problema della band canadese. In un certo senso, è come se gli Arcade Fire fossero ormai diventati una bellissima montagna, con cime spettacolari e rocce che restituiscono colori mozzafiato a tutte le ore, ma che domina troppo dall'alto il traffico del mio piccolo paese. Di quando in quando ci godiamo il tramonto, e certe albe commuovono sempre, ma nessuno resta tutto il giorno fermo lì davanti.
Quello che però volevo dire è che Suburbs ha provacato alcuni interessanti pezzi di scrittura musicale, come solo pochi dischi davvero importanti riescono a fare ogni anno. In parte sono dovuti alle canzoni e al concept di questo disco (per quanto meno apocalittico del solito), in parte dovuti al numero uno in classifica conquistato la settimana della sua uscita.
Prendiamola larga. Tom Ewing segnala un formidabile articolo di Helena Fitzgerald su The New Inquiry che, senza nulla togliere al valore musicale dell'album, riflette intorno a dove sia finita l'idea di Rock come ribellione nell'epoca dell'indie rock ormai adulto, proprio partendo dall'elegia della provincia cantata in Suburbs:
Rock music no longer puts us in the car, turns the ignition and sets us driving, free from Dad. Now rock music brings us back to Dad and eventually turns us into Dad.Ewing commenta distinguendo adulto e maturo, ma il suo discorso per una volta mi pare un po' inconsistente, mettendo in mezzo argomenti personali per dargli qualche appiglio.
Nitsuh Abebe racconta in maniera dettagliata come l'evoluzione del suono degli Arcade Fire sia stata per lui inattesa, e ora la band gli sembri in qualche modo più "lontana":
The difference, I think, lies in what they mean. Because taking a path that involves shooting for the grand earnest statement, preaching to the kids, will lead you very different than a path that involves acting something out for them — acting out something possibly a little odd and perverse, something malleable, something that confronts reality by reshaping it, instead of shouting at it.Anche la schietta recensione di Francesco su Vitaminic parla di distanza (e di come la si possa accettare), ed era quello che mi era piaciuto a una prima lettura. Ma tornandoci su, e leggendone altre in giro, mi sono accorto che esiste tutto un genere di recensioni degli Arcade Fire che tra le righe sembrano riguardare più le reazioni al loro disco, che non il disco in sé (PopMatters e Village Voice, per fare due esempi, entrambe non proprio lusinghiere nei confronti degli Arcade Fire - non sarà un caso). Mi pare che possa essere un indizio di quella sensazione di "fatica" che provavo anch'io. Come se si "sentisse il dovere" di avere un'opinione, senza in realtà averne molta voglia, perché gli Arcade Fire sono oramai "ineluttabili". Ripeto: ciò non toglie nulla alla loro musica, se di quella parliamo.
C'è poi chi, come Ben Sisario sul New York Times, che riflette sul loro primo posto in classifica, sul significato che questo ha per il genere indie (ancora?) e sull'inevitabile backlash che ciò comporterà. Partendo "dal caso Suburbs", Zach Baron trae un curioso specchietto dello stato di salute della musica indie nel 2010:
We are old and have money now and we are spread across this continent and we are desperate to find somewhere meaningful to put our consumer dollar. The Arcade Fire's fulsome instrumentation, ten-part harmonies, songs-that-have-sequels bombast, and apocalyptically mournful lyrics about moving to, yup, the suburbs certainly fit that bill.
>>>(mp3): Arcade Fire - Sprawl 3.0 (Rotiv mix) - trovata qui
(photo by Elena Morelli)
Commenti
Thanks.
-Rotiv
Si può parlare di quale sia la loro politica culturale, perchè ne hanno una abbastanza inusuale; si può parlare di quale sia la loro politica commerciale (come ha fatto più o meno direttamente Girolami); si può parlare del target a cui il disco è diretto; si può parlare di cosa significhi la parolina con la i nel momento in cui Suburbs finisce primo in classifica; si può parlare di quanto sia ben vestito Win Butler. e sarebbe tutto estremamente più interessante di qualsiasi analisi in merito alla musica contenuta, che invece dal punto di vista critico è estremamente noiosa. niente pecche, niente picchi (o solo picchi, dipende dalle opinioni). disco lungo. concept. nessuno lo preferisce a funeral.
che poi nessuna delle recensioni musicali che (imho) vale la pena leggere è strettamente musicale. credo.
1) possibile che neppure i madrelingua siano capaci di leggersi i testi e capire che "the suburbs" non parla affatto di trasferirsi in periferia, né della periferia tesse le lodi, ma l'esatto contrario?
2) un disco è un disco. cercarci significati che vadano oltre può essere importante, e in questo caso senz'altro lo è. ma impostare su di essi una recensione - visto poi che musicalmente gli spunti ci sono, anche a confronto con i dischi precedenti. che poi sti cavoli se è peggio di "funeral": anche "hail to the thief" è oggettivamente inferiore a "kid a", ma nessuno l'ha ritenuto in sé poco interessante per quello - mi sa tanto di scusa dietro cui nascondersi se non si ha niente da dire o se si è troppo pigri per sforzarsi di dire qualcosa.
magari si tratta di giornalisti che hanno dovuto fare la recensione con un solo ascolto, ma anche in quel caso non ci sono giustificazioni. una recensione deve inquadrare un disco, spiegarlo/descriverlo e dare un giudizio. se manca una delle tre cose allora non è tale. al massimo è un commento, che può essereinteressante e ben fatto, certo, è tutta un'altra questione.
sul pezzo giusto e interessante sono d'accordo che sia meglio il secondo del primo, mi pare il minimo. ma - e questo senza entrare nel merito dei giudizi espressi - se non entri nel merito del disco bensì ci ragioni sopra in astratto e basta non stai facendo una recensione. quel che voglio dire è che se uno fa *solo* un commento è concettualmente sbagliato passarlo per recensione, e viceversa. allo stesso modo in cui non è giusto spacciare un succo d'arancia per una spremuta. insomma, chiamiamo le cose col loro nome e comportiamoci di conseguenza. non è una questione da poco, a mio avviso. :)
Non entro troppo nel merito perché non ne so abbastanza, però Paso se hai tempo e voglia di spiegare un po' meglio come Suburbs non è l'elegia della periferia di cui molti parlano io lo pubblicherei molto volentieri anche come post a sé stante (oppure se lo hai già scritto da qualche parte mandami un link). Credo sarebbe molto interessante.
ciao, e.
E probabilmente sulla questione di "portabandiera dell'indie" c'é stato un equivoco iniziale legato proprio al concetto di major/non major che ci portiamo ancora dietro.
Tanto che se "Funeral" fosse uscito su Sony o Universal, probabilmente tutti i blogger del mondo ne avrebbero (forse) parlato con la puzza sotto il naso.
Detto ciò, penso che "The Suburbs" dimostri una grandissima capacità di scrittura di Butler e soci. E in definitiva stiamo parlando di una band che era destinata a diventare mainstream... e non per questo ha messo di comporre belle canzoni (alcune bellissime!) che personalmente mi fanno vibrare come molti dischi di Springsteen con la E-Street Band.
intnato comunque, al volo: il mio punto è che leggendo i testi non vi è a mio avviso alcuna mitizzazione dei suburbs, né una loro visione in un'ottica nostalgica. se nostalgia c'è, semmai, è per quando si era piccoli e lì si cresceva.
perché l'infanzia e l'adolescenza possono suscitare rimpianti anche quando avvengono in contesti spersonalizzanti e schiacciati dalla noia, dai quali si teme di non riuscire a scappare mai. ma, appunto, è l'adolescenza semmai a essere guardata con nostalgia, non la periferia..