L'Appartamento
"Pet Grief" e i Radio Dept.
Non esistono passi indietro. Sviluppi imprevisti, progressi mozzati, amnesie, questo sì. Altre cose possono non maturare, è vero. Ma non ci è dato compiere passi indietro, e riavvolgere il tempo.
Pet Grief, il nuovo disco dei Radio Dept. è un ovattato segno ulteriore di tale trascurabile verità. Le canzoni che contiene, a prima vista poco attraenti, la ribadiscono sottovoce.
La band di Malmö, a tre anni da quell'esordio che mi aveva rapito, e dopo due ep già abbastanza diversi, arriva al secondo album lasciando disattese molte aspettative e prendendo una direzione opposta a quella che tutti avevano suggerito loro.
Ancora più assente la sezione ritmica, svaporati i feedback e raffreddata l'elettronica, i Radio Dept. sembrano passati dal pop malinconico da cameretta adolescenziale al pop malinconico da bilocale in affitto.
Si cresce un po' così, anche per approssimazione. E può capitare che la letteratura degli annunci immobiliari, con i suoi sottintesi di grana grossa, sia tutto ciò che serve a descrivere una stagione. Allora bastano poche righe per accorgersi che si è passati da "where the damage isn't already done", al momento in cui la sofferenza, il malessere diventa "un animaletto domestico".
È una casa, come si usa dire, con finiture di pregio: ecco quindi i levigati arrangiamenti di archi e piano che i Radio Dept. hanno allestito con il cuore ai Prefab Sprout. Una casa ristrutturata con un progetto preciso in mente: abbattere i muri portanti alla Jesus & Mary Chain su cui da giovani appendevamo poster. Una casa nuova, luminosa e nuda, nella quale l'aria condizionata funziona sempre al massimo, per congelare ogni stanza e ogni sentimento.
Quasi tutte le canzoni si concludono sfumando. Di rado affondano il colpo. Esemplare a questo proposito I Want You To feel The Same, uno degli episodi più deboli tra le nuove canzoni, eppure messo in una posizione chiave della scaletta, quasi a voler disorientare l'ascolto. È una canzone che se le togli la voce sembra musica di sottofondo per qualche documentario. C'è questa vaga aria da Drive dei Cars, ma non si risolve in nulla. Resta solo l'espressione di questo: "io vorrei che anche tu ti sentissi così". Resta solo il riconoscere con disappunto ciò che si prova davvero: "io vorrei che anche tu ti sentissi così". Così male, dannazione.
"You think you know someone, right? / Maybe you never did, and how that scares you", aggiunge la canzone che dà il titolo all'album.
Arriviamo così alla questione del singolo, The Worst Taste In Music, una canzone obiettivamente poco disponibile, soprattutto con quel pianoforte usato come una mannaia su ogni tentativo di dialogo. Una linea di basso gira intorno al problema, mentre la melodia va avanti e indietro, misurando ostinata il perimetro di quella che non vuole ammettere sia comune solitudine. Il fatto che l'altro abbia pessimi gusti musicali non farà tornare indietro lei, che già scende le scale di corsa.
(sarà la stessa di Tell? "What you could have had, of course you have it still / But based on a lie that you always will repeat, till it clings true"...)
Del resto, il tema domestico era già anticipato proprio nelle ultime parole di Lesser Matters. Da allora, da quelle tre note di chitarra che reggevano Lost & Found, l'unica cosa cambiata sembra essere proprio l'indifferenza con cui la chitarra è stata sepolta, una superficie algida che non nasconde cosa batte sotto, ma lo sterilizza: "show me a weakness if you dare", canta oggi la splendidamente triste What Will Give.
Altrove, tocca ammetterlo, non resta altro che abbandonarsi al ricordo: la prima nota di Every Time fa fremere come quando i Radio Dept. cantavano di quell'anno memorabile e correnti contro cui cadere, mentre Always A Relief sembra una riscrittura di Pulling Our Weight.
Ma è chiaro che l'illusione dura poco, il tempo di un concerto blu di nove canzoni e un bis con il ghiaccio secco, e la ragazza di fianco a me piangeva e mandava messaggi. Pet Grief fa di tutto per restare un disco a due dimensioni, per non esporsi ad altre inutili sofferenze. Come canta A Window:
"Can't get into the swing of things
Entanglements, embarrassments
It always ends like this".
"Pet Grief" e i Radio Dept.
Non esistono passi indietro. Sviluppi imprevisti, progressi mozzati, amnesie, questo sì. Altre cose possono non maturare, è vero. Ma non ci è dato compiere passi indietro, e riavvolgere il tempo.
Pet Grief, il nuovo disco dei Radio Dept. è un ovattato segno ulteriore di tale trascurabile verità. Le canzoni che contiene, a prima vista poco attraenti, la ribadiscono sottovoce.
La band di Malmö, a tre anni da quell'esordio che mi aveva rapito, e dopo due ep già abbastanza diversi, arriva al secondo album lasciando disattese molte aspettative e prendendo una direzione opposta a quella che tutti avevano suggerito loro.
Ancora più assente la sezione ritmica, svaporati i feedback e raffreddata l'elettronica, i Radio Dept. sembrano passati dal pop malinconico da cameretta adolescenziale al pop malinconico da bilocale in affitto.
Si cresce un po' così, anche per approssimazione. E può capitare che la letteratura degli annunci immobiliari, con i suoi sottintesi di grana grossa, sia tutto ciò che serve a descrivere una stagione. Allora bastano poche righe per accorgersi che si è passati da "where the damage isn't already done", al momento in cui la sofferenza, il malessere diventa "un animaletto domestico".
È una casa, come si usa dire, con finiture di pregio: ecco quindi i levigati arrangiamenti di archi e piano che i Radio Dept. hanno allestito con il cuore ai Prefab Sprout. Una casa ristrutturata con un progetto preciso in mente: abbattere i muri portanti alla Jesus & Mary Chain su cui da giovani appendevamo poster. Una casa nuova, luminosa e nuda, nella quale l'aria condizionata funziona sempre al massimo, per congelare ogni stanza e ogni sentimento.
Quasi tutte le canzoni si concludono sfumando. Di rado affondano il colpo. Esemplare a questo proposito I Want You To feel The Same, uno degli episodi più deboli tra le nuove canzoni, eppure messo in una posizione chiave della scaletta, quasi a voler disorientare l'ascolto. È una canzone che se le togli la voce sembra musica di sottofondo per qualche documentario. C'è questa vaga aria da Drive dei Cars, ma non si risolve in nulla. Resta solo l'espressione di questo: "io vorrei che anche tu ti sentissi così". Resta solo il riconoscere con disappunto ciò che si prova davvero: "io vorrei che anche tu ti sentissi così". Così male, dannazione.
"You think you know someone, right? / Maybe you never did, and how that scares you", aggiunge la canzone che dà il titolo all'album.
Arriviamo così alla questione del singolo, The Worst Taste In Music, una canzone obiettivamente poco disponibile, soprattutto con quel pianoforte usato come una mannaia su ogni tentativo di dialogo. Una linea di basso gira intorno al problema, mentre la melodia va avanti e indietro, misurando ostinata il perimetro di quella che non vuole ammettere sia comune solitudine. Il fatto che l'altro abbia pessimi gusti musicali non farà tornare indietro lei, che già scende le scale di corsa.
(sarà la stessa di Tell? "What you could have had, of course you have it still / But based on a lie that you always will repeat, till it clings true"...)
Del resto, il tema domestico era già anticipato proprio nelle ultime parole di Lesser Matters. Da allora, da quelle tre note di chitarra che reggevano Lost & Found, l'unica cosa cambiata sembra essere proprio l'indifferenza con cui la chitarra è stata sepolta, una superficie algida che non nasconde cosa batte sotto, ma lo sterilizza: "show me a weakness if you dare", canta oggi la splendidamente triste What Will Give.
Altrove, tocca ammetterlo, non resta altro che abbandonarsi al ricordo: la prima nota di Every Time fa fremere come quando i Radio Dept. cantavano di quell'anno memorabile e correnti contro cui cadere, mentre Always A Relief sembra una riscrittura di Pulling Our Weight.
Ma è chiaro che l'illusione dura poco, il tempo di un concerto blu di nove canzoni e un bis con il ghiaccio secco, e la ragazza di fianco a me piangeva e mandava messaggi. Pet Grief fa di tutto per restare un disco a due dimensioni, per non esporsi ad altre inutili sofferenze. Come canta A Window:
"Can't get into the swing of things
Entanglements, embarrassments
It always ends like this".
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