La Nostra Classifica dei Dischi del 2005

Passa il tempo ma qui a polaroid le classifiche di fine anno le facciamo ancora come una volta. Con ingredienti semplici, genuini, lavorati a mano.
I dischi vengono conservati con amore lungo i dodici mesi. Passano dai nostri scaffali e dai nostri hard disk all'etere bolognese. Si diffondono nei locali dove giungono in preziose valigette e piccole scatole selezionate con cura. Si fanno dei lunghi giri in macchina, in autobus e in cuffia.
Sono i nostri dischi. Non i migliori, ma quelli che hanno fatto il nostro 2005.
Perché le classifiche di fine anno, qui a polaroid, le facciamo ancora secondo tradizione: come un diario delle nostre stagioni appena passate.
E quindi ora eccolo qui, e questa sera lo suoneremo a partire dalle ventuno su Città del Capo Radio Metropolitana, nella nostra puntata di Natale.
All the people on the left, Enzo. And then a step to the right, La Laura.


10) Amari, Grand Master Mogol (Riotmaker)
Perché il 2005 è stato un campo minato e quest'estate gli Amari l'hanno cantato alla perfezione. Anche per questo, noi gli vogliamo bene. Grand Master Mogol mi ha lasciato in bocca il sapore forte del Borghetti, nelle gambe le spinta delle salite di Urbino, nel cuore una Bolognina Revolution e negli occhi tutti i colori al neon dell'arcobalena.

9) The Lucksmiths, Warmer Corners (Candle Records)
"La musica della porta accanto" che ha suonato per molti e lunghi mesi. Quella canzone "che abbiamo ascoltato centinaia di volte" ma che continuava a ricordarmi qualcosa. Warmer Corners è forse il più completo album della nostra preferita band australiana. O forse soltanto l'ennesimo concentrato di indiepop e testi malinconici. Dipende un po' dai giorni. E non è difficile dire sorridendo "io sono tutto qui".

8) Frida Hyvönen, Until Death Comes (Licking Fingers)
Una cantautrice su questo lato della classifica forse non se la aspettava nessuno. Ma queste canzoni sono una passeggiata notturna fino in fondo a Södermalm, gli occhi socchiusi dell'estate svedese, il suono seducente di una voce che resto ad ascoltare incantato dalle labbra che mi parlano. Come another night non manca mai a Losing My Badge.

7) Yuppie Flu, Toast Masters (Homesleep)
Il disco della primavera, un prato pop dove finalmente stendersi di nuovo e allargare le braccia. "Stiamo tutti diventando buffi rottami / ma felici come clown / e con bambini tutti intorno" (da A Good Guide) è un momento di serenità di questo 2005 che voglio ricordare, insieme a Our Nature, incredibile floorfiller quando giochiamo in casa, tra le mura del Covo.

6) Wolf Parade, Apologies To The Queen Mary (Sub Pop)
Tutta la musica di Wolf Parade si spreme dai nervi di Dan Boeckner e dal sudore di Spencer Krug, e io la trovo dannatamente complicata ma niente affatto intellettuale. Anzi, è un tumulto ansimante di viscere e di muscoli che mi affascina, perché non so mai come reagire, se prestando attenzione o perdendo la testa nella danza.

5) Maximo Park, A Certain Trigger (Warp)
Sono cresciuto a pane e Smiths, non posso farci niente, e questo è per forza il mio brillante disco british dell'anno. Si balla, si cantano le parole, ci si mette la camicia appropriata, si fanno citazioni, si eccede con misura, si ama e abbandona: "every sentence has its cost".

4) The National, Alligator (Beggars Banquet)
Io ci ho sentito la forza del classico, il modo giusto di appoggiare il braccio al bancone del bar, la stessa vecchia giacca portata con eleganza non comune, il rock e il dolore. Un disco probabilmente per nulla estivo ma che mi sono ritrovato ad ascoltare senza sosta nei mesi infuocati che ho trascorso sulle strade. Della Bassa o d'America a tratti non faceva quasi differenza. Un disco capace di far soffrire.

3) Architecture In Helsinki, In Case We Die (Tailem Bend)
Il mio disco caleidoscopio di quest'anno, e io bambino che ci cado dentro. Danzando con i fantasmi, ridendo sulla spiaggia, dimenticandosi di ricordare, suonando i campanelli, facendo le vocine buffe, lucidando gli ottoni, prendendoti per mano, correndo e correndo ancora, a perdifiato.

2) Sambassadeur, s/t (Labrador)
Mi ripeto, ma questo è stato mio disco dell'autunno 2005, e da questa parti l'autunno non è una stagione come le altre. Un disco esile, certo troppo fragile per questa posizione in classifica, ma qui dentro per me c'è il suono con cui i luminosi sorrisi dell'estate si allontanano, mentre le mattine cominciano umide. Difficile trattenere quella luce. Difficile prenderne congedo. E la malinconia è soltanto la fatica di chi ha continuo bisogno di Bellezza per andare avanti.

1) Clap Your Hands Say Yeah, s/t (autoprodotto)
Perché, alla fine, ogni volta io ho bisogno di innamorarmi, di sentire le canzoni prima sotto la pelle che dentro le orecchie, e capisco che sta succedendo da come le gambe non stanno ferme, da come le mani si gettano in aria, dall'urgenza di ripetere le mie solite parole scavalcando un nodo alla gola. Tutto ciò che si è detto e scritto dopo (l'ho fatto anch'io, lo so) non arriva nemmeno a sfiorare quello che ho sentito in un momento di giugno, la prima volta che ho incontrato una loro canzone, e il sorriso che mi ha regalato, come di chi si ritrova, e si riconosce.
10) Aqueduct, I Sold Gold(Barsuk)
E poi quell'ep ci aveva fatto sperare. E l'hanno scorso dicemmo: David Terry sarà nei nostri cuori e nelle nostre classifiche del 2005. E chi si aspettava che poi questo 2005 ci avrebbe riconciliato con la musica tutta e fatto innamorare di un disco nuovo ogni millisecondo? Growing Up with GNR e Heart design sono due pezzi eccezzionali. Che non ci levano il sorriso dalla faccia. Ah, scusa, tu, non è che c'hai un gettone per la sala giochi?

9) Bloc Party, Silent Alarm (Wichita)
E poi i Bloc Party sono stati ovunque. A me hanno fatto correre, un sacco. Uscivo di casa con Like eating glass, costeggiavo il cimitero con Banquet, mi affacciavo sull'oceano con This modern love. Così, per settiane. Poi è arrivato l'inverno, la pioggia, l'indolenza. E non li ho ascoltati più. E poi i Bloc Party erano ovunque. Contemporaneamente: vernissage, festival, in Australia, nelle radio, nelle tivù, negli scantinati. Ma se li ascolto penso sempre all'affanno della corsa, al buio e alle strade deserte del mio quartiere.

8) Clem Snide, End of Love (Spin Art)
End of love è la canzone d'amore più bella del 2005 e il disco è una giostra di latta, cesello di immagini e nomi. È letteratura pret à porter, a lessico tascabile di piccole cose. Un disco da tramonti stucchevoli e amaro Strega. Crepuscolari del New Jersey su "tiny european cars".

7) Wolf Parade, Apologies to the Queen Mary (Sub Pop)
Scelta compiacente, ma disco grandioso. Arrivata alla posizione numero sette, mi sono accorta che non avevamo ancora fatto un ballo. Fino a ottobre poi non si è ballato. E poi all'mprovviso la pista si è vuotata. Wolf Parade è stato un po' così. Levati dalla sedia in cui ti sei messa e alza le braccia. Ancora un po'. Ancora per un po'.

6) Clientele, Strange Geometry (Merge)
Strange geometry parla di architettura. Non che questo sia un buon motivo per amarlo. Il punto è: parla di architettura con te. Infatti quando lo ascolto sto sempre molto vicina alla radio. E' un disco sussurrato, di immagini inafferrabili e allo specchio. Losing Haringey mi fa uscire di testa, è la polaroid perfetta. And I did want to drink after all.

5) Bright Eyes, I'm wide awake, it's morning (Saddle Creek)
All'inizio dell'anno ero talmente innamorata di Conor che l'unica possibilità di salvezza era vederlo da vicino. Infatti è successo. Quella sera che il sole era tramontato sull'Indiano oltre il finestrino di un viaggio in treno verso la frantumazione delle mie aspettative sono tornata a casa con il cuore sanguinante. La Laura di Landlocked blues non ero io, peccato.

4) The National, Alligator (Beggars Banquet)
Alligator mi fa ancora tremare le ginocchia anche se lo so a memoria, se l'ho ascoltato a ripetizione per un mese, tutte le volte che sento quel verso di Looking for astronauts che dice di "getta la tua collezione di dischi dalla finestra (they all run together and never make sense)" mi sembra la prima volta che ho sentito Springsteen cantare "getta rose nella pioggia". E ho i brividi se ci penso. Matt Berninger è una invincibile vittima, nessuno mai lo lascerebbe uscire da solo into America. Mai.

3) The Panics, Sleeps Like Curse (littleBINGMAN)
Sleep Like Curse è un disco solido. Bilancia con la sua inclinazione notturna e polverosa la solare leggerezza di Warmer Corners e In case we die. E un disco di quelli con le chitarre. È un disco della West coast e così, a suo modo, western. Suonarono in un pub, imbottito di gente. Le prime file versavano lacrime copiose. Spietatamente sensuale. Meraviglioso.

2) Architecture in Helsinki, In Case We Die (Tailem Bend)
Vino e uno e quattro fa cinque, lo sapevate? In case we die è un manuale per confusionari organizzati, un musical che si snoda in strade di rotonde e fantasmi, in cui vale la pena un ballo. Suonate le pentole e i coltelli in un rito casalingo, danza macabra, dietro a tende spesse e tappezzerie a fiori. Perchè evviva l'autoironia.

1) The Lucksmiths, Warmer Corners (Candle Records)
Il 2005 è stato il capitolo della mia vita intitolato Australia. Quello appeso ai telefoni delle long distance phone calls, quello delle code alle poste, delle lavanderie a gettoni, dell'estate che finisce ad aprile. Il 2005 è stato l'anno delle mountan bikes, del surf, dei minigolf, dei muffins. L'anno di quel fico esagerato di Tali White. Un anno scritto da Marty Donald.


update: e qui c'è la classifica suonata in radio.

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