It's so shameful of me, I like you
Morrissey live in Bologna, 13 giugno 2004

Caro Morrissey,
sarà possibile essere ancora innamorati di te, dopo tutti questi anni? Non sarà pigro, debole o sconveniente? Non sarà troppo accondiscendente?
Sai, devo confessartelo, la prima impressione che ho avuto quando sei apparso sul palco di Bologna è stata addirittura peggiore di quella di Modena nel '99. Ho pensato, mio dio, un vecchio attore; proprio uno di quegli attori consumati e appesantiti che interpretano solo Shakespeare tutta la vita e invecchiano come vecchi attori. Con quella sobria giacca blu, una camicia rossa, degli eleganti jeans non più attillati, mentre in cintura, dei fiori di una volta, restavano solo pochi gambi tagliati che non hai mancato di gettare.

Ma è sempre così, vero? Con te ci vuole un po' a scaldare le cose, ad addomesticare palco e pubblico. Giurerei che servono proprio a questo scopo tutti quei tuoi gesti enfatici di frusta con il filo del microfono.
Intanto, una bella sparatoria in apertura, per sollevare un po' di polvere dal pantano di Parco Nord (First of the gang to die), e poi altro fuoco e fiamme (Hairdresser on fire). E quando qualcosa non è del tutto sotto controllo lo si getta via (Headmasters rituals interrotta senza tanti complimenti).

Ma ti sei accorto che eravamo già caduti prede ancora prima che iniziasse il tuo concerto? Ci era bastato osservare quell'avvicendarsi sotto il palco: via i quindicenni contenti dei Rasmus e dei Jet (così inutili che ora ho dovuto controllare il biglietto per ricordarmi il loro nome) e avanti noi, forse in fondo adolescenti quanto loro.
Avranno vagamente capito che le parole di Rubber ring erano anche per loro? Anche per quella fila di ragazzine contro le transenne, già appostate per i Muse, assurdamente dopo di te nella scaletta?

Temo che quando hai scimmiottato il coretto MU-SE-MU-SE, quando hai fatto le linguacce e hai mostrato benevolo il medio ("oh, you know, I'm very clever"), possa esssere sfuggito loro che bastava guardare alle tue spalle quelle lettere alte tre metri tipo Hollywood circondate di lampadine da musical anni '50, e che componevano ovviamente il nome M O R R I S S E Y, per accorgersi dell'ironia e del gusto per la contraddizione che, al solito, animavano ogni tuo gesto.

E nonostante tutto, dentro ognuno di questi, bruciava ancora una passione che non mi aspettavo, che andava oltre il tuo stile e la tua classe, oltre il semplice fatto che avresti potuto essere padre di buona parte dei presenti sopra e sotto il palco di questo festival.
Bastava guardarti mentre continuavi a cantare, appoggiavi un piede alla cassa, distendevi il braccio sinistro con il palmo della mano rivolto verso l'alto, piegavi il capo all'indietro e sollevavi il microfono, ed eccola lì, l'aggraziata silohuette degli Smiths, intatta sotto il tempo che era passato, e colpiva il cuore.

E' stato bello vedere i fratelli maggiori commuoversi per davvero, sinceri e sorpresi; è stato bello vedere i ragazzini intorno cantare le parole (tanto di Irish blood, English hearth quanto di Everyday is like sunday); è stato bello scoprire che neppure io le avevo dimenticate tutte.
Ed è stato qualcosa di definitivo (dopo tutto questo tempo, chi l'avrebbe detto?) lanciare le braccia al cielo in quella pioggia leggera, unire le voci e aspettare ancora una volta l'arrivo di quell'autobus a due piani, sempre lo stesso, insieme a te: "the pleasure and the privilege is mine".

Morrissey, live in Bologna, 13/06/2004 - foto by Arturo

(Grazie ad Arturo e Fabio per il regalo, e a Flavia per gli occhi)

Commenti

Anonimo ha detto…
descrizione perfetta ed emozionante.
Fantastica la chiusura con la citazione di There is a light that never goes out! Dovresti fare lo/la scrittore/ scrittrice. Sab