Dalle nove alle cinque
Homesleep Weekend II, 11-13 marzo 2004, Il Covo - Bologna
E’ stata una festa lunga tre notti, nel nostro posto preferito, insieme a (quasi) tutti gli amici che vorremmo avere a una festa, oltre a nuove interessanti conoscenze, e (quasi) tutta la musica che vorremmo sentire a una festa.
Mi è piaciuto viverlo così questo lungo Homesleep Weekend: dall’inizio alla fine, dalle nove alle cinque, orario continuato fino a mattina. Aggirarmi per le stanze del Covo vuote ma già irrequiete prima dell’apertura, impegnato a sparpagliare su tutti i tavolini quei foglietti e altri anche più DIY fotocopiati in ufficio (ok, ne riparleremo, spero), restare a vedere la gente arrivare piano, muoversi nella folla, sino al momento in cui vedevamo accendersi le luci bianche dei neon prima della chiusura.
Dopo tre giorni così, domenica sera resta tutto nelle gambe deboli, nella testa un po’ pesante e negli occhi arrossati che reclamano ore di sonno. Rimbombano ancora le orecchie per la quantità di musica assorbita e le parole spese a raffica e più o meno sobriamente (ormai metà della gente che conosco si esprime solo citando Giovanni Gandolfi).
Dimenticherò presto parecchie cose, ma di certo non la sensazione di stare assistendo a qualcosa di molto bello quando noi soliti da soli sotto il palco saltavamo e cantavamo You can’t hide your love forever di Comet Gain, suonata (quasi) apposta per noi. E ho ancora in mente il sorriso con cui David Feck rispondeva al sottoscritto, ormai impresentabile, e le terribili occhiatacce che mi rivolgeva la sua british girlfriend a un orario impossibile.
Mi è dispiaciuto, invece, sentire The French così freddi rispetto al disco dell’anno scorso, e del resto una risposta fredda è quella che hanno avuto dal già esiguo pubblico.
I Julie’s Haircut mi hanno trovato aggrappato a banco, e ho ballato poco quando avrei dovuto saper tenere meglio il centro buio della sala, come gli Yuppie Flu hanno saputo tenere il palco nonostante l’impianto di amplificazione cercasse di ostacolarli in tutti i modi.
E che Alessandro Raina dei Giardini di Mirò salisse sul palco a cantare un pezzo insieme alla band anconetana si sapeva, ma che si trattasse proprio di Order the player off the field mi ha stupito non poco. Il risultato è stato davvero al di sopra delle mie aspettative.
Credo poi di ricordare i Fuck trasformarsi in assurdi prestigiatori dopo aver suonato un set breve ma assolutamente da incorniciare per come è riuscito a essere sconclusionato e tirato al tempo stesso.
E non è mancata la cover di Ops, I did it again.
Dei Wisdom Of Harry non so dire molto, se non che un paio di affidabili intorno a me erano delusi dal confronto con l’ultimo album, e che quasi tutta la gente mi pareva completamente distratta dall’aria elettrica che si respirava sabato sera, e non li ha degnati di molta attenzione.
Il merito era tutto dei Franz Ferdinand, attesi alla prova del nove del live. E invece gli scozzesi hanno dimostrato che a volte l’hype ha ragione e ha i suoi bei motivi, non è solo questione di uffici stampa ma si propaga dopo concerti come questo (niente a che vedere con il disco).
Un’esibizione serrata e frenetica (e divertente) come la loro mi ha riportato alla memoria quelle degli Strokes pre album d’esordio della primavera 2001. La totale assenza di una pur minima esitazione nel loro concerto ha schiacciato una sala stipatissima, ed era un piacere vedersi alzare così tante braccia e volare da una parte all’altra danze selvagge.
Il suono finalmente usciva perfetto dall’impianto e arrivava alla nuca come una sciabolata di Nuova Onda dagli imprevedibili riflessi. Che dire infatti del nudo ritornello beatlesiano in Tell her tonight? (Le tre voci in linea, le chitarre puntate e le camicie strette: i FF si presentavano come un plotone d’esecuzione, e la cosa funzionava dannatamente.) O come tacere dei ricordi di Duran Duran epoca primo/secondo album, soprattutto nell’uso del synth? E come non sorridere vedendo levarsi la marea del pubblico sul levare malefico di Take Me Out, tutti in coro?
Il quartetto non è esattamente il più simpatico dei gruppi, data la quantità di attenzione che hanno ricevuto, ma non si può certo dire che non sappiano fare quello che devono. E se non spariranno domani, potrebbero regalare altri spaccapista a colpo sicuro.
Uniche note negative di questa tre giorni, a mio avviso, sono stati gli ospiti dj stranieri, quasi mai in sintonia col pubblico locale. Molto meglio, ad esempio, ha saputo fare Arturo prima dei concerti nella serata di sabato, tenendo sulla corda quattrocento agitatissime persone sparando via via robe tipo Orange Juice, Television Personalities, Razorcuts, Shop Assistants, Pastels, Talulah Gosh, Teenage Fanclub, la sua ultima fiamma i Ponys, i Radio Dept. e trovando anche il tempo di mettere le Black Candy prima dei Franz Ferdinand.
Una bella festa, davvero.
Homesleep Weekend II, 11-13 marzo 2004, Il Covo - Bologna
E’ stata una festa lunga tre notti, nel nostro posto preferito, insieme a (quasi) tutti gli amici che vorremmo avere a una festa, oltre a nuove interessanti conoscenze, e (quasi) tutta la musica che vorremmo sentire a una festa.
Mi è piaciuto viverlo così questo lungo Homesleep Weekend: dall’inizio alla fine, dalle nove alle cinque, orario continuato fino a mattina. Aggirarmi per le stanze del Covo vuote ma già irrequiete prima dell’apertura, impegnato a sparpagliare su tutti i tavolini quei foglietti e altri anche più DIY fotocopiati in ufficio (ok, ne riparleremo, spero), restare a vedere la gente arrivare piano, muoversi nella folla, sino al momento in cui vedevamo accendersi le luci bianche dei neon prima della chiusura.
Dopo tre giorni così, domenica sera resta tutto nelle gambe deboli, nella testa un po’ pesante e negli occhi arrossati che reclamano ore di sonno. Rimbombano ancora le orecchie per la quantità di musica assorbita e le parole spese a raffica e più o meno sobriamente (ormai metà della gente che conosco si esprime solo citando Giovanni Gandolfi).
Dimenticherò presto parecchie cose, ma di certo non la sensazione di stare assistendo a qualcosa di molto bello quando noi soliti da soli sotto il palco saltavamo e cantavamo You can’t hide your love forever di Comet Gain, suonata (quasi) apposta per noi. E ho ancora in mente il sorriso con cui David Feck rispondeva al sottoscritto, ormai impresentabile, e le terribili occhiatacce che mi rivolgeva la sua british girlfriend a un orario impossibile.
Mi è dispiaciuto, invece, sentire The French così freddi rispetto al disco dell’anno scorso, e del resto una risposta fredda è quella che hanno avuto dal già esiguo pubblico.
I Julie’s Haircut mi hanno trovato aggrappato a banco, e ho ballato poco quando avrei dovuto saper tenere meglio il centro buio della sala, come gli Yuppie Flu hanno saputo tenere il palco nonostante l’impianto di amplificazione cercasse di ostacolarli in tutti i modi.
E che Alessandro Raina dei Giardini di Mirò salisse sul palco a cantare un pezzo insieme alla band anconetana si sapeva, ma che si trattasse proprio di Order the player off the field mi ha stupito non poco. Il risultato è stato davvero al di sopra delle mie aspettative.
Credo poi di ricordare i Fuck trasformarsi in assurdi prestigiatori dopo aver suonato un set breve ma assolutamente da incorniciare per come è riuscito a essere sconclusionato e tirato al tempo stesso.
E non è mancata la cover di Ops, I did it again.
Dei Wisdom Of Harry non so dire molto, se non che un paio di affidabili intorno a me erano delusi dal confronto con l’ultimo album, e che quasi tutta la gente mi pareva completamente distratta dall’aria elettrica che si respirava sabato sera, e non li ha degnati di molta attenzione.
Il merito era tutto dei Franz Ferdinand, attesi alla prova del nove del live. E invece gli scozzesi hanno dimostrato che a volte l’hype ha ragione e ha i suoi bei motivi, non è solo questione di uffici stampa ma si propaga dopo concerti come questo (niente a che vedere con il disco).
Un’esibizione serrata e frenetica (e divertente) come la loro mi ha riportato alla memoria quelle degli Strokes pre album d’esordio della primavera 2001. La totale assenza di una pur minima esitazione nel loro concerto ha schiacciato una sala stipatissima, ed era un piacere vedersi alzare così tante braccia e volare da una parte all’altra danze selvagge.
Il suono finalmente usciva perfetto dall’impianto e arrivava alla nuca come una sciabolata di Nuova Onda dagli imprevedibili riflessi. Che dire infatti del nudo ritornello beatlesiano in Tell her tonight? (Le tre voci in linea, le chitarre puntate e le camicie strette: i FF si presentavano come un plotone d’esecuzione, e la cosa funzionava dannatamente.) O come tacere dei ricordi di Duran Duran epoca primo/secondo album, soprattutto nell’uso del synth? E come non sorridere vedendo levarsi la marea del pubblico sul levare malefico di Take Me Out, tutti in coro?
Il quartetto non è esattamente il più simpatico dei gruppi, data la quantità di attenzione che hanno ricevuto, ma non si può certo dire che non sappiano fare quello che devono. E se non spariranno domani, potrebbero regalare altri spaccapista a colpo sicuro.
Uniche note negative di questa tre giorni, a mio avviso, sono stati gli ospiti dj stranieri, quasi mai in sintonia col pubblico locale. Molto meglio, ad esempio, ha saputo fare Arturo prima dei concerti nella serata di sabato, tenendo sulla corda quattrocento agitatissime persone sparando via via robe tipo Orange Juice, Television Personalities, Razorcuts, Shop Assistants, Pastels, Talulah Gosh, Teenage Fanclub, la sua ultima fiamma i Ponys, i Radio Dept. e trovando anche il tempo di mettere le Black Candy prima dei Franz Ferdinand.
Una bella festa, davvero.
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