Thank you for the music (11)
Una polaroid di musica in nice price
Come si diceva, oggi si conoscono vita morte e miracoli dell'ultimo gruppetto di Glasgow che non ha nemmeno pubblicato un album (almeno ufficialmente), mentre la notizia del ritorno in pista degli Orb non se la filava nessuno.
La colpa della creatura del Dr. Alex Paterson è forse quella di essere stata troppo avanti in passato, di aver giocato troppo a lungo con questo ossimoro, e forse di non aver avuto voglia di capitalizzare quanto guadagnato.
In un vecchio negozio di dischi che frequentavo, ricordo la faccia di qualcuno quando Pomme Fritz suonò per la prima volta: un po' di rimpianto per i tempi andati misto a una specie di risentimento per quella ingratitudine inattesa.
Perché qualcosa ci legava agli Orb e all'improvviso non lo sentivamo più.
Quel qualcosa era The Orb's Adventures Beyond the Ultraworld. Un disco doppio (o un paio di C60, ancora nel mio cruscotto) che ci aveva portato in alto e ci aveva fatto scoprire cose che noi pivelli non pensavamo fosse possibile fare con la musica. O forse era la musica che le faceva a noi.
Le Avventure furono un'esperienza d'ascolto del tutto inedita per noi che non avevamo mai pronunciato le magiche parole "chill out". C'erano suoni larghi, notturni e lunari. Oppure cieli pieni di sole e nuvole morbide, pulite, distese. C'erano rumori che ti costringevano ad alzarti e a guardare fuori dalla finestra cos'era successo, mentre invece era tutto nel disco (da cui la locuzione "to be orbed").
La ricetta di Paterson era all'apparenza semplice: rallentare le ritmiche della prima house, sommergerle con synth analogici dal respiro molto ampio, amalagamare il tutto con campionamenti il più possibile eterogenei.
Ogni frammento veniva spinto in loop ipnotici e assillanti.
Le dimensioni conosciute delle cose svanivano nelle luci dell'alba al di là del vetro della discoteca.
Nuove pillole appena inventate completavano l'opera.
Sarà per via delle dimensioni doppie, ma per associazione di idee mi vengono in mente le KD Sessions di Kruder & Dorfmeister. Anche lì, ritmi rallentati, spazi dilatati all'inverosimile e una buona dose di sostanze per dare una mano alla psiche.
Ho l'impressione di non aver più ascoltato un disco altrettanto visionario, ambizioso e incomprensibile negli anni successivi. Un disco che saltasse il passaggio intellettuale dell'avanguardia, della sperimentazione, del parlare intorno alle cose, per trasmettere "in diretta da un altro mondo".
ps: Uno dei progetti collaterali degli Orb (al quale partecipò anche Robert Fripp) prese il nome di FFWD.
FFWD si chiama anche uno dei nostri blog musicali italiani preferiti. Ogni gennaio Little Fluffy Clouds, capolavoro degli Orb, gli ispira meravigliose parole.
Una polaroid di musica in nice price
Come si diceva, oggi si conoscono vita morte e miracoli dell'ultimo gruppetto di Glasgow che non ha nemmeno pubblicato un album (almeno ufficialmente), mentre la notizia del ritorno in pista degli Orb non se la filava nessuno.
La colpa della creatura del Dr. Alex Paterson è forse quella di essere stata troppo avanti in passato, di aver giocato troppo a lungo con questo ossimoro, e forse di non aver avuto voglia di capitalizzare quanto guadagnato.
In un vecchio negozio di dischi che frequentavo, ricordo la faccia di qualcuno quando Pomme Fritz suonò per la prima volta: un po' di rimpianto per i tempi andati misto a una specie di risentimento per quella ingratitudine inattesa.
Perché qualcosa ci legava agli Orb e all'improvviso non lo sentivamo più.
Quel qualcosa era The Orb's Adventures Beyond the Ultraworld. Un disco doppio (o un paio di C60, ancora nel mio cruscotto) che ci aveva portato in alto e ci aveva fatto scoprire cose che noi pivelli non pensavamo fosse possibile fare con la musica. O forse era la musica che le faceva a noi.
Le Avventure furono un'esperienza d'ascolto del tutto inedita per noi che non avevamo mai pronunciato le magiche parole "chill out". C'erano suoni larghi, notturni e lunari. Oppure cieli pieni di sole e nuvole morbide, pulite, distese. C'erano rumori che ti costringevano ad alzarti e a guardare fuori dalla finestra cos'era successo, mentre invece era tutto nel disco (da cui la locuzione "to be orbed").
La ricetta di Paterson era all'apparenza semplice: rallentare le ritmiche della prima house, sommergerle con synth analogici dal respiro molto ampio, amalagamare il tutto con campionamenti il più possibile eterogenei.
Ogni frammento veniva spinto in loop ipnotici e assillanti.
Le dimensioni conosciute delle cose svanivano nelle luci dell'alba al di là del vetro della discoteca.
Nuove pillole appena inventate completavano l'opera.
Sarà per via delle dimensioni doppie, ma per associazione di idee mi vengono in mente le KD Sessions di Kruder & Dorfmeister. Anche lì, ritmi rallentati, spazi dilatati all'inverosimile e una buona dose di sostanze per dare una mano alla psiche.
Ho l'impressione di non aver più ascoltato un disco altrettanto visionario, ambizioso e incomprensibile negli anni successivi. Un disco che saltasse il passaggio intellettuale dell'avanguardia, della sperimentazione, del parlare intorno alle cose, per trasmettere "in diretta da un altro mondo".
ps: Uno dei progetti collaterali degli Orb (al quale partecipò anche Robert Fripp) prese il nome di FFWD.
FFWD si chiama anche uno dei nostri blog musicali italiani preferiti. Ogni gennaio Little Fluffy Clouds, capolavoro degli Orb, gli ispira meravigliose parole.
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