Musica per allunati
Il volo verso la Luna era iniziato nel 1998, con molto seguito e meritato clamore.
Ora gli Air, giunti a destinazione, tornano a trasmettere con questo Talkie Walkie, album che uscirà tra un paio di settimane ma che ovviamente state già ascoltando tutti da almeno un mese.
Finalmente riconosciamo la loro voce, dopo i disturbi di ricezione sulle 10000 Hertz Legend. E davvero il titolo di Moon Safari meglio si adatterebbe a queste nuove canzoni, quasi tutte così senza gravità e incorporee.
Il legame con il disco d’esordio però mi pare si fermi qui, in quella specie di immaginario (che è sempre lo stesso degli Air) dei “giorni futuri che abbiamo passato”, e che si risolve negli spazi dilatati e nella ricerca “dei vecchi tempi” attraverso i suoni.
Poco altro accomuna Talkie Walkie a Moon Safari, come invece si dovrebbe desumere dai comunicati (preoccupati forse di evitare la debacle del disco di mezzo), ma non per questo si resta a corto di argomenti.
Ad esempio, dov’è finita la batteria? A parte il secco battimani d’apertura su Venus, altre quattro tracce per arrivare al nudo metronomo di Mike Mills (un capolavoro di brano che sembra crescere come una dimostrazione matematica) e poco altro in Surfin’ on a rocket e Another day (senza dubbio la peggiore delle dieci canzoni qui)?
Forse nello spazio tutto si disperde, o forse sul furgone che nel video di Sexy Boy li traghettava da Parigi alle stelle non ci entrava. Tutto il posto è occupato da archi “cosmici”, morbidi pianoforti e prodotti sintetici (come sempre) accuratissimi, traslucidi.
Cherry blossom girl, il brano più immediato in scaletta (nonché il mio lento per il prossimo San Valentino), è sostenuto interamente da un arpeggio di chitarra e da un basso acido mai così dolce. Poi entrano le svenevoli voci di Dunckel e Godin, vibrate e spietate, la melodia non incontra ostacoli (e questo vale per quasi tutto l’album) fino a quando un flauto non la rafforza circondandola, un synth degno di P. Lion si riaccende per miracolo, e un eco di oh e di ah durato un attimo (da 2:59 a 3:05) mi pone mille domande.
Qualche problema (suggerisce l’Observer) può sorgere se si ascolta Talkie Walkie di giorno. O sulla Terra, aggiungo io, o se non si ha bisogno di una colonna sonora per qualche documentario della Nasa.
Ma sono dettagli che sono sicuro gli Air, nella loro casa sulla Luna, hanno risolto molto tempo fa.
Il volo verso la Luna era iniziato nel 1998, con molto seguito e meritato clamore.
Ora gli Air, giunti a destinazione, tornano a trasmettere con questo Talkie Walkie, album che uscirà tra un paio di settimane ma che ovviamente state già ascoltando tutti da almeno un mese.
Finalmente riconosciamo la loro voce, dopo i disturbi di ricezione sulle 10000 Hertz Legend. E davvero il titolo di Moon Safari meglio si adatterebbe a queste nuove canzoni, quasi tutte così senza gravità e incorporee.
Il legame con il disco d’esordio però mi pare si fermi qui, in quella specie di immaginario (che è sempre lo stesso degli Air) dei “giorni futuri che abbiamo passato”, e che si risolve negli spazi dilatati e nella ricerca “dei vecchi tempi” attraverso i suoni.
Poco altro accomuna Talkie Walkie a Moon Safari, come invece si dovrebbe desumere dai comunicati (preoccupati forse di evitare la debacle del disco di mezzo), ma non per questo si resta a corto di argomenti.
Ad esempio, dov’è finita la batteria? A parte il secco battimani d’apertura su Venus, altre quattro tracce per arrivare al nudo metronomo di Mike Mills (un capolavoro di brano che sembra crescere come una dimostrazione matematica) e poco altro in Surfin’ on a rocket e Another day (senza dubbio la peggiore delle dieci canzoni qui)?
Forse nello spazio tutto si disperde, o forse sul furgone che nel video di Sexy Boy li traghettava da Parigi alle stelle non ci entrava. Tutto il posto è occupato da archi “cosmici”, morbidi pianoforti e prodotti sintetici (come sempre) accuratissimi, traslucidi.
Cherry blossom girl, il brano più immediato in scaletta (nonché il mio lento per il prossimo San Valentino), è sostenuto interamente da un arpeggio di chitarra e da un basso acido mai così dolce. Poi entrano le svenevoli voci di Dunckel e Godin, vibrate e spietate, la melodia non incontra ostacoli (e questo vale per quasi tutto l’album) fino a quando un flauto non la rafforza circondandola, un synth degno di P. Lion si riaccende per miracolo, e un eco di oh e di ah durato un attimo (da 2:59 a 3:05) mi pone mille domande.
Qualche problema (suggerisce l’Observer) può sorgere se si ascolta Talkie Walkie di giorno. O sulla Terra, aggiungo io, o se non si ha bisogno di una colonna sonora per qualche documentario della Nasa.
Ma sono dettagli che sono sicuro gli Air, nella loro casa sulla Luna, hanno risolto molto tempo fa.
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