Thank you for the music (2)
Una polaroid di musica in nice price
Ieri sera in radio non l'ho detto, ma la copertina di More songs about buildings and food è la riproduzione di un mosaico che ritrae a grandezza naturale i Talking Heads.
Il mosaico è composto da 529 polaroid.
Si ripete spesso che il secondo album di una delle band più colte della storia della musica risente dell'influenza di Brian Eno, ma ho l'impressione che anche il clima rilassato durante l'intero mese di lavorazioni al Compass Point Studio di New Providence, Bahamas, abbia la sua importanza.
Me li vedo, tutti e cinque con gli occhiali da sole, in giro per chiese locali la domenica di Pasqua.
Partiti dalle radici r'n'b (per non dire africane) del loro nevrotico rock degli esordi, qui i Talking Heads sembrano intenzionati a distendersi verso una riproduzione bianca (e, si direbbe di conseguenza, schizofrenica) del funk.
Tutto viaggia verso la disco: non importa che Byrne sopra canti stridulo cose come "I forgot the trouble / that's the trouble / with our love", oppure "someday, I believe, we can live in a world without love", o il feroce testo di "Big country".
Rolling Stone arrivò anche a parlare di "cartesiana disgiunzione tra mente e corpo". Ci si muove, a ritmo frammentato e incalzante, mentre un solo accordo secco di chitarra martella e comprime ogni profondità.
Strategie per certi versi affini e contemporanee a quelle adottate dall'altra parte dell'oceano dagli ancora più politicizzati Gang Of Four. Inquieti, ma si balla(va).
Proprio come oggi, con la differenza che non ho ancora letto nessuno commentare le liriche dei Rapture.
Una polaroid di musica in nice price
Ieri sera in radio non l'ho detto, ma la copertina di More songs about buildings and food è la riproduzione di un mosaico che ritrae a grandezza naturale i Talking Heads.
Il mosaico è composto da 529 polaroid.
Si ripete spesso che il secondo album di una delle band più colte della storia della musica risente dell'influenza di Brian Eno, ma ho l'impressione che anche il clima rilassato durante l'intero mese di lavorazioni al Compass Point Studio di New Providence, Bahamas, abbia la sua importanza.
Me li vedo, tutti e cinque con gli occhiali da sole, in giro per chiese locali la domenica di Pasqua.
Partiti dalle radici r'n'b (per non dire africane) del loro nevrotico rock degli esordi, qui i Talking Heads sembrano intenzionati a distendersi verso una riproduzione bianca (e, si direbbe di conseguenza, schizofrenica) del funk.
Tutto viaggia verso la disco: non importa che Byrne sopra canti stridulo cose come "I forgot the trouble / that's the trouble / with our love", oppure "someday, I believe, we can live in a world without love", o il feroce testo di "Big country".
Rolling Stone arrivò anche a parlare di "cartesiana disgiunzione tra mente e corpo". Ci si muove, a ritmo frammentato e incalzante, mentre un solo accordo secco di chitarra martella e comprime ogni profondità.
Strategie per certi versi affini e contemporanee a quelle adottate dall'altra parte dell'oceano dagli ancora più politicizzati Gang Of Four. Inquieti, ma si balla(va).
Proprio come oggi, con la differenza che non ho ancora letto nessuno commentare le liriche dei Rapture.
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