Promemoria
Forse pochi di quelli che erano all’Arts Café di Londra sabato sera ammetterebbero di aver assistito a un concerto memorabile.
Per noi di polaroid, come spesso succede, la faccenda è un po’ più complicata e sentimentale.
Partire da Bologna, dove a volte sembra che esista chissà quale scena indie ma dove alle serate ci sono le solite cinquanta persone (se va bene), arrivare a Londra per ascoltare tre gruppi decisamente interessanti e trovare un piccolo bar, per quanto elegante, simpatico e accogliente, dove il pubblico conta una cinquantina di persone e tutte sembrano conoscersi piuttosto bene... beh, ecco, è una cosa che fa riflettere.
Prendere due aerei nel giro di sedici ore per andare ad ascoltare una band al vero esordio (i Radio Dept. avevano suonato per la prima volta fuori dai confini svedesi appena la sera precedente, allo Spitz Café, trecento metri più avanti lungo Commercial Street, di spalla a Apples in Stereo) e non smettere di sorridere dalla felicità anche quando non sono riusciti a concludere la prima canzone (un inedito di cui non ho inteso il titolo) neppure al secondo tentativo… beh, ecco, forse significa che abbiamo dei problemi pure noi, e non soltanto la loro drum machine (un giocattolino delle dimensioni di un walkman) cui il chitarrista cercava di cambiare le pile, mentre il cantante con una mano sulla fronte chiedeva scusa e… chiedeva nuovamente scusa.
So cosa state pensando, ma io sono innamorato di questa band di sfigati. E dopo averli visti dal vivo ho la certezza che il loro album Lesser matters non è riuscito così bene solo grazie a qualcuno che ci ha messo le mani (pronto, Libertines?), dato che quando sul piccolo palco tutto funzionava e restava in equilibrio almeno per un paio di minuti quei quattro ragazzini intimiditi riuscivano a creare molto di più di quanto fosse possibile immaginare.
Pezzi come Where the damage isn’t already done, 1995 o Why won’t you talk about it anche dal vivo scintillavano di una grazia pop che mi ha lasciato talmente incantato da non essere ormai più necessario ricostruire genealogie, pensare “toh, shoegazing” se la ragazza accanto fissa il pavimento tra i suoi piedi dondolando la testa al ritmo di Against the tide, o disquisire della percentuale di Jesus and Mary Chain e House of Love contenuta nel tale ritornello.
Poi i Radio Dept. impareranno a mettere in piedi lo show, poi riusciranno a trattenere certi sorrisi increduli in faccia al pubblico (Lisa Carlberg era assolutamente adorabile), poi Johan Duncanson saprà cosa dire tra un pezzo e l’altro, poi Martin Larsson sarà un po’ più sereno, poi Per Blomgren (se davvero era lui) sembrerà un po’ meno “giandone”, poi si ricorderanno di presentare i componenti della band, che sta sempre bene.
O forse tutto questo non succederà, e si potrebbe sostenere che non sarebbe una gran perdita per la storia della musica. Ma io sono convinto del contrario, e credo che quello di sabato non sia stato un concerto pieno di passi falsi di un gruppo di sprovveduti da dimenticare. È stato il concerto di un’ottima band al principio della carriera, e un giorno ce lo ricorderemo contenti. Avere avuto il privilegio di poter vedere questo evento da così vicino (tanto da riuscire a scambiare due chiacchiere con il cantante che continuava a scusarsi anche mentre metteva via la chitarra) mi fa sentire un indie kid dannatamente fortunato e pieno d’entusiasmo. E l’entusiasmo, a volte, è tutto quello di cui ho bisogno.
Forse pochi di quelli che erano all’Arts Café di Londra sabato sera ammetterebbero di aver assistito a un concerto memorabile.
Per noi di polaroid, come spesso succede, la faccenda è un po’ più complicata e sentimentale.
Partire da Bologna, dove a volte sembra che esista chissà quale scena indie ma dove alle serate ci sono le solite cinquanta persone (se va bene), arrivare a Londra per ascoltare tre gruppi decisamente interessanti e trovare un piccolo bar, per quanto elegante, simpatico e accogliente, dove il pubblico conta una cinquantina di persone e tutte sembrano conoscersi piuttosto bene... beh, ecco, è una cosa che fa riflettere.
Prendere due aerei nel giro di sedici ore per andare ad ascoltare una band al vero esordio (i Radio Dept. avevano suonato per la prima volta fuori dai confini svedesi appena la sera precedente, allo Spitz Café, trecento metri più avanti lungo Commercial Street, di spalla a Apples in Stereo) e non smettere di sorridere dalla felicità anche quando non sono riusciti a concludere la prima canzone (un inedito di cui non ho inteso il titolo) neppure al secondo tentativo… beh, ecco, forse significa che abbiamo dei problemi pure noi, e non soltanto la loro drum machine (un giocattolino delle dimensioni di un walkman) cui il chitarrista cercava di cambiare le pile, mentre il cantante con una mano sulla fronte chiedeva scusa e… chiedeva nuovamente scusa.
So cosa state pensando, ma io sono innamorato di questa band di sfigati. E dopo averli visti dal vivo ho la certezza che il loro album Lesser matters non è riuscito così bene solo grazie a qualcuno che ci ha messo le mani (pronto, Libertines?), dato che quando sul piccolo palco tutto funzionava e restava in equilibrio almeno per un paio di minuti quei quattro ragazzini intimiditi riuscivano a creare molto di più di quanto fosse possibile immaginare.
Pezzi come Where the damage isn’t already done, 1995 o Why won’t you talk about it anche dal vivo scintillavano di una grazia pop che mi ha lasciato talmente incantato da non essere ormai più necessario ricostruire genealogie, pensare “toh, shoegazing” se la ragazza accanto fissa il pavimento tra i suoi piedi dondolando la testa al ritmo di Against the tide, o disquisire della percentuale di Jesus and Mary Chain e House of Love contenuta nel tale ritornello.
Poi i Radio Dept. impareranno a mettere in piedi lo show, poi riusciranno a trattenere certi sorrisi increduli in faccia al pubblico (Lisa Carlberg era assolutamente adorabile), poi Johan Duncanson saprà cosa dire tra un pezzo e l’altro, poi Martin Larsson sarà un po’ più sereno, poi Per Blomgren (se davvero era lui) sembrerà un po’ meno “giandone”, poi si ricorderanno di presentare i componenti della band, che sta sempre bene.
O forse tutto questo non succederà, e si potrebbe sostenere che non sarebbe una gran perdita per la storia della musica. Ma io sono convinto del contrario, e credo che quello di sabato non sia stato un concerto pieno di passi falsi di un gruppo di sprovveduti da dimenticare. È stato il concerto di un’ottima band al principio della carriera, e un giorno ce lo ricorderemo contenti. Avere avuto il privilegio di poter vedere questo evento da così vicino (tanto da riuscire a scambiare due chiacchiere con il cantante che continuava a scusarsi anche mentre metteva via la chitarra) mi fa sentire un indie kid dannatamente fortunato e pieno d’entusiasmo. E l’entusiasmo, a volte, è tutto quello di cui ho bisogno.
Commenti