Musica per micropolveri

E' una mattina opaca su Bologna, mi sveglio tardi e accendo la radio ancora prima di scendere dal letto per darmi una parvenza d'attività, seguo a fatica una trasmissione su radio3 mentre vago tra la cucina e il bagno. Provo a prendere un tè.
La finestra sulla città mostra una luce pallida ma fastidiosa, umida.
Su questa scena la musica di Tulsa for One Second dei Pulseprogramming si posa come polvere in un raggio di sole e attutisce i rumori del traffico lontano.

Blooms eventually, canzone posta strategicamente in apertura di disco, è una malinconica carezza in stile Morr Music, come del resto tutte le tracce dove compaiono voci, filtrate o meno. E' il pezzo più pop fra i nove contenuti nell'album. Già nella successiva Here give it to you here I’ll show you, l'atmosfera cambia e si dissolve in glitch pop più "tradizionale". Sono questi i due poli attorno ai quali gravita l'ottimo lavoro dei Pulseprogramming.

Le musiche di Stylophone purrs and mannerist blooms sono distanti e lo fanno assomigliare a un pezzo di Dntel che abbia viaggiato attraverso le galassie e sia piovuto fortunatamente sul nostro pianeta (magari dalle parti dell'Islanda, con tutti quei carillon che fanno tanto Mum).
In mezzo alla bambagia di All joy and rural honey c'è una piccola melodia ascendente di pianoforte che si ripete, avvolge e non conclude mai. Il ritmo è più frenetico ma sfuggente, puro pulviscolo sonoro. Dobbiamo aspettare Off to Do Showery Snapshots per trovare una "batteria" vera e propria, sincopata e coinvolgente. L'eco della voce sembra appoggiato lì per caso, come se parlasse a se stessa, proprio mentre le nuvole si spostano dal sole e fuori un clima pare prendere forma.

A prima vista Don't Swell Up Your Glass Pocket e Within The Orderly Life descrivono uno spazio vuoto. Solo quando cambia la luce ti accorgi che è ricco di dettagli, come in un sogno che ricordi a poco a poco. Apro la finestra per sentire l'aria ancora fredda.

Largely Long-Distance Loves ha una battuta dritta inattesa e poco efficace (soffusa ambient house per anziani ex astronauti?), forse il momento meno riuscito del disco.
O forse sono solo io che non riesco a vedere più il cielo in fondo alle colline, dove la foschia è calata di nuovo.
Infilo una maglia ma non chiudo la finestra. Giro le spalle all'orizzone ed ecco che parte lo spleen di Bless the drastic space. C'è sicuramente qualcosa di poco sano nell'apprezzare (se non addirittura "amare") certe canzoni così sconsolate, ma va così. Almeno per oggi, con questo cielo.
Chiusura con pseudo ghost-track in semi plagio dai Mum (di nuovo): trascurabile e perdonabile, dopo una mezz'ora abbondante a questo livello.

I contributi a Tulsa for One Second da parte di Lindsay Anderson dei L'Altra mi sono sembrati meno determinanti rispetto a quando li avevamo visti dal vivo e c'eravamo emozionati.
Una nota sui titoli delle canzoni, che ho ricopiato con evidente piacere: non bisogna stupirsi, dato che i Pulseprogramming nascono dalla collaborazione dei musicisti Joel Kriske e Marc Hellner con il poeta Joel Craig. Al progetto poi partecipano anche il videoartista Eric Johnson (il disco ha una sezione video) e due grafici, Hans Seeger e John Shachter (la confezione del cd si può aprire per costruire il modellino di una specie casa - su un muro corrono le ombre fuori fuoco di due ragazzini).

La mano sul telecomando cerca il tasto repeat. Resto a mezz'aria ancora un po'.

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