Depcrepito precario
Il numero di Zero in Condotta in edicola oggi qui a Bologna presenta un ampio e interessante dossier sulla legge delega 848, che riforma il mercato del lavoro in direzione di una sempre maggiore (e, a detta di alcuni, sempre più spregiudicata) flessibilità.
A pagina 6 è usata l’espressione “la precarietà sta già invecchiando”. L’articolo si riferisce alla diffusione delle agenzie interinali che qui in città, da un iniziale “parco lavoratori” proveniente soprattutto dagli studenti dell’università, sono giunte a contemplare fra gli “atipici” abituali una fascia di “utenti” fino ai 40 anni.
Ma la frase mi ha colpito a prescindere dal contesto in cui si trovava. “La precarietà sta già invecchiando” ha un suono che potrei definire epico ed è abbastanza allusiva da poter significare qualunque cosa.
Poi ho pensato subito: cazzo, ma invecchia con me? Cosa fa, mi corre dietro?
Eri giovane appena ieri e ti dicevano tutti che dovevi fare i conti con il nuovo scenario, precario e flessibile.
Poi passano gli anni, fai delle scelte, credi che vada bene e invece no: la precarietà invecchia pure lei.
Anzi, sta già invecchiando, come se qualcuno avesse previsto che la precarietà potesse rimanere per sempre giovane (così che solo ad una certà, in un certo senso, la attraversavi), e invece poi queste previsioni avessero fallito: la precarietà è appassita prima del tempo (senza per questo scadere).
Mi ha fatto pensare al mio disagio di questi giorni, in un nuovo ufficio e senza precisi punti di riferimento.
Mi sono detto che non imparo proprio mai. Ho appena cambiato un lavoro prendendo una decisione all’insegna della provvisorietà (abbandonando quello che apparentemente era un contratto solido), e non posso lamentarmi subito della mancanza di stabilità.
La precarietà sta già invecchiando, un po’ come noi. Crescere è un’altra cosa.
Il numero di Zero in Condotta in edicola oggi qui a Bologna presenta un ampio e interessante dossier sulla legge delega 848, che riforma il mercato del lavoro in direzione di una sempre maggiore (e, a detta di alcuni, sempre più spregiudicata) flessibilità.
A pagina 6 è usata l’espressione “la precarietà sta già invecchiando”. L’articolo si riferisce alla diffusione delle agenzie interinali che qui in città, da un iniziale “parco lavoratori” proveniente soprattutto dagli studenti dell’università, sono giunte a contemplare fra gli “atipici” abituali una fascia di “utenti” fino ai 40 anni.
Ma la frase mi ha colpito a prescindere dal contesto in cui si trovava. “La precarietà sta già invecchiando” ha un suono che potrei definire epico ed è abbastanza allusiva da poter significare qualunque cosa.
Poi ho pensato subito: cazzo, ma invecchia con me? Cosa fa, mi corre dietro?
Eri giovane appena ieri e ti dicevano tutti che dovevi fare i conti con il nuovo scenario, precario e flessibile.
Poi passano gli anni, fai delle scelte, credi che vada bene e invece no: la precarietà invecchia pure lei.
Anzi, sta già invecchiando, come se qualcuno avesse previsto che la precarietà potesse rimanere per sempre giovane (così che solo ad una certà, in un certo senso, la attraversavi), e invece poi queste previsioni avessero fallito: la precarietà è appassita prima del tempo (senza per questo scadere).
Mi ha fatto pensare al mio disagio di questi giorni, in un nuovo ufficio e senza precisi punti di riferimento.
Mi sono detto che non imparo proprio mai. Ho appena cambiato un lavoro prendendo una decisione all’insegna della provvisorietà (abbandonando quello che apparentemente era un contratto solido), e non posso lamentarmi subito della mancanza di stabilità.
La precarietà sta già invecchiando, un po’ come noi. Crescere è un’altra cosa.
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