Venerdì è uscito Up the Bracket. E’ il primo album di Libertines. Qualche sera addietro ho visto il video della canzone che titola il disco. La regia è di Gina Birch. Gina Birch era voce e chitarra di Raincoats, se non le avete mai ascoltate vi consiglio caldamente di ripescare almeno il loro primo omonimo album edito nel 1979 e ristampato nel 1993 con appassionate note di copertina di un certo Cobain. Le Raincoats furono scoperte da Geoff Travis. Geoff Travis che oggi ci introduce a Libertines, era il proprietario di Rough Trade. Geoff Travis vent’anni, un fallimento e mille avventure dopo ha fatto conoscere al mondo Strokes, il cui cantante giurerei sia il giovanotto fotografato sul retro copertina di Up the Bracket.
Il video di Up the Bracket è accompagnato da una piccola leggenda metropolitana. Pare che la Birch per quel video avesse chiesto alla banda di ragazzini londinesi di presentarsi nel suo appartamento assieme ad una selezione di loro amiche. Le ragazze non avevano le facce giuste. Quella sera a Londra suonavano Liars. Fighi e newyorkesi. La Birch ha portato i Libertines nel backstage, ha chiesto a Liars se poteva utilizzare le loro ragazze per il video. I Liars hanno acconsentito.
Il disco di Libertines è il più divertente che mi sia capitato tra le mani dall’uscita di Is this it.
È uno di quei dischi che alla terza nota ti espelle dal divano e ti sbatte a ballare in mezzo al salotto, alla seconda canzone ti spinge in strada a cercare di staccare un mattone dal primo muro che incontri. Alla quinta finisce che con quel mattone spacchi una vetrina, non importa se di una banca, di un macdonalds o del fruttivendolo sotto casa. Quello che importa è il rumore del vetro che esplode.
Il disco di Libertines cancella il tempo. Ancora rock’n’roll, ma questa volta la memoria è impigliata in Inghilterra. Clash, Jam ed Housemartins. Punkpopbeat.
Il disco di Libertines è l’illusione che l’età sia effettivamente quello che vorresti fosse: faccenda di numeri, esperienza e stanchezza, non un impiccio della mente inventato per fotterti la vita.
Did you see the stylish kids in the riot? Domandano in apertura di una canzone. Sì, quei ragazzi li hai visti e li conosci bene. Hanno la faccia di quelli che hanno scelto da che parte stare, non hanno mollato, c’erano allora, ci sono oggi e ci saranno sempre. La vita salvata e poi inquinata irrimediabilmte dal rock’n’roll.
Chitarre, chitarre, chitarre. Con il legno di quello strumento Libertines prendono a mazzate i computer dove i piccoli geni dell’elettronica infilano i loro floppy consegnandoci musica da tappezzeria, utile anestetico per tempi di futile impegno.
“A scuola tutti quanti ascoltavano Michael Jackson. Per questo ho passato anni molto distante dalla musica, fino a quando non ho incontrato il mio insegnante di scienze. Non gliene fregava niente di quelle cazzate e un giorno mi passò una cassetta di Velvet Underground. E’ stato un rito di passaggio. Era possibile suonare anche non emettendo tutte le note esattamente. In quel periodo cominciai ad imbracciare la chitarra, sapevo suonare solo due accordi, ma quando scoprii che anche Venus in Furs era fatta così, per me fu la rivoluzione”.
Carl Barat, cantante di Libertines.
Ed ora su, uscite di casa, andate al negozio di dischi, ignorate quel piccolo adesivo nero sulla plastica della copertina che dice disco: consigliato da “Il Mucchio”. Comperate Up the Bracket, non ve ne pentirete. Se avete un dubbio ricordatevi chi è che vi ha fatto ascoltare per la prima volta The Modern Age…
Poi sabato 23 novembre tutti a ballare sotto il palco del Covo.
Il video di Up the Bracket è accompagnato da una piccola leggenda metropolitana. Pare che la Birch per quel video avesse chiesto alla banda di ragazzini londinesi di presentarsi nel suo appartamento assieme ad una selezione di loro amiche. Le ragazze non avevano le facce giuste. Quella sera a Londra suonavano Liars. Fighi e newyorkesi. La Birch ha portato i Libertines nel backstage, ha chiesto a Liars se poteva utilizzare le loro ragazze per il video. I Liars hanno acconsentito.
Il disco di Libertines è il più divertente che mi sia capitato tra le mani dall’uscita di Is this it.
È uno di quei dischi che alla terza nota ti espelle dal divano e ti sbatte a ballare in mezzo al salotto, alla seconda canzone ti spinge in strada a cercare di staccare un mattone dal primo muro che incontri. Alla quinta finisce che con quel mattone spacchi una vetrina, non importa se di una banca, di un macdonalds o del fruttivendolo sotto casa. Quello che importa è il rumore del vetro che esplode.
Il disco di Libertines cancella il tempo. Ancora rock’n’roll, ma questa volta la memoria è impigliata in Inghilterra. Clash, Jam ed Housemartins. Punkpopbeat.
Il disco di Libertines è l’illusione che l’età sia effettivamente quello che vorresti fosse: faccenda di numeri, esperienza e stanchezza, non un impiccio della mente inventato per fotterti la vita.
Did you see the stylish kids in the riot? Domandano in apertura di una canzone. Sì, quei ragazzi li hai visti e li conosci bene. Hanno la faccia di quelli che hanno scelto da che parte stare, non hanno mollato, c’erano allora, ci sono oggi e ci saranno sempre. La vita salvata e poi inquinata irrimediabilmte dal rock’n’roll.
Chitarre, chitarre, chitarre. Con il legno di quello strumento Libertines prendono a mazzate i computer dove i piccoli geni dell’elettronica infilano i loro floppy consegnandoci musica da tappezzeria, utile anestetico per tempi di futile impegno.
“A scuola tutti quanti ascoltavano Michael Jackson. Per questo ho passato anni molto distante dalla musica, fino a quando non ho incontrato il mio insegnante di scienze. Non gliene fregava niente di quelle cazzate e un giorno mi passò una cassetta di Velvet Underground. E’ stato un rito di passaggio. Era possibile suonare anche non emettendo tutte le note esattamente. In quel periodo cominciai ad imbracciare la chitarra, sapevo suonare solo due accordi, ma quando scoprii che anche Venus in Furs era fatta così, per me fu la rivoluzione”.
Carl Barat, cantante di Libertines.
Ed ora su, uscite di casa, andate al negozio di dischi, ignorate quel piccolo adesivo nero sulla plastica della copertina che dice disco: consigliato da “Il Mucchio”. Comperate Up the Bracket, non ve ne pentirete. Se avete un dubbio ricordatevi chi è che vi ha fatto ascoltare per la prima volta The Modern Age…
Poi sabato 23 novembre tutti a ballare sotto il palco del Covo.
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