Le plat travail qui est le mien
Però questi personaggi dei film dei Dardenne sono… un po’ ossessivi, ecco.
Vivono in quel loro piatto Paese, vite più o meno normali, e non si capisce bene cosa li tenga in piedi dal mattino fino a ora di coricarsi. (Ah, perché invece noi lo sappiamo?). Movimenti precisi, ripetuti da una vita, e poche parole, tutte scelte con attenzione.
“Perché è gente che lavora”, dicono. Sarà. Anche a me è capitato di fare lavori manuali, e un po’ mi ci ritrovo, in questi film dove la colonna sonora consiste di martellate, sibili di flessibile, e in sottofondo il traffico urbano. Però i lavoratori non sono sempre così. Quelli che conosco io hanno pure voglia di comunicare, almeno nelle pause caffè, o al bar, o nel parcheggio prima d’andare a casa. Se non hanno argomenti c’è sempre il calcio, la musica, la politica, parlar male del capo, e se ci si conosce un po’ meglio, le donne (e gli uomini).
Ma i lavoratori dei Dardenne non tifano né Liegi né Anderlecht; non mettono mai su un disco, né dEUS né Jacques Brel, niente. Non hanno appettiti sessuali di sorta. Solo il ragazzo che invita a cena Rosetta suona un po’ la batteria, e mette su il suo demo mentre cerca di baciarla. È di gran lunga il più umano e il più simpatico tra i personaggi dei Dardenne, però, cavolo, non aveva neanche una cassetta di lenti? Una cassetta di qualsiasi cos’altro? La batteria come l’ha imparata, seguendo i tonfi della segheria al piano di sotto?
"È perché sono poveri”. È vero che abitano sempre in certi appartamenti schifidi, con pavimenti da fine Ottocento, mentre ero convinto che in Belgio avessero ormai tutti la moquette. Avevo pur sentito dire che il loro PIL pro-capite è superiore al nostro…
Prendi il falegname protagonista del “Figlio”: insegna falegnameria in una struttura per ragazzi in difficoltà. Ha quattro apprendisti. Non ha famiglia a carico. Dovrebbe pure riuscire a permettersi qualcosa di più di un’auto classe 1985 e di un tugurio arredato con mensole in fornica (non può portarsi un po’ di lavoro in casa?). Un mio coinquilino che stava alle pezze, sei o settecento euro al mese (lavorava nell’editoria), ce l’aveva pur fatta a comprarsi l’attrezzo per il sollevamento pesi. E invece il falegname dei Dardenne per fare i piegamenti deve sdraiarsi sul polveroso pavimento, che nessuna badante viene a pulire. Fossi in lui mi licenzierei seduta stante, forse farei la rivoluzione. E se guadagna così poco lui, quanto prenderanno gli apprendisti?
Non c’è da stupirsi se il loro comportamento rasenta l’autismo. Rosetta non è una donna, non è un essere senziente, è solo una voce che grida nel deserto: “Voglio un lavoro”. Il falegname non grida niente, non dice niente, insegue il ragazzo ma non ha niente da dirgli, cerca qualcosa dentro di sé ma trova soltanto misure esprimibili in centimetri, dal mio piede al piede dell’assassino di mio figlio c’è un metro e cinquantuno, massimo cinquantadue.
Eppure noi andiamo a vederli, i film dei Dardenne, perché? Come il falegname, anch’io cerco in me stesso e non trovo il perché; so solo dirti: al martedì all’Embassy costava quattro euro e dieci centesimi. E sicuramente non credo più alle fate di Hollywood, alle fiabe di Natale che stanno per uscire, sono un piccolo uomo che lavora e vorrei vedere altre storie di piccoli uomini che lavorano, o che ci provano.
Però col “Figlio” il discorso non torna. Un conto è lavorare, un conto è quella gabbia di silenzi e fissazioni misurabile in centimetri. Forse quello che mi servirebbe è un buon vecchio neorealismo, con la gente che piange, ride, canta le canzoni in osteria, ruba le biciclette. Ma non li fanno più i film così, invece premiano i film dei Dardenne, e io mi adeguo. Perché? Non lo so, il perché. Ora vado a letto. Domani ho cinque ore, dalle otto e venticinque all’una e cinque minuti. Quindi devo svegliarmi alle sette e quarantacinque. Metterò la sveglia alle sette e quarantatré, per sicurezza. Buona notte.
...At the end of The Son, the audience is expected to be grateful for being shown that there exists morality among the masses, but only someone wildly out of touch with humanity would be surprised by such a conclusion...
Però questi personaggi dei film dei Dardenne sono… un po’ ossessivi, ecco.
Vivono in quel loro piatto Paese, vite più o meno normali, e non si capisce bene cosa li tenga in piedi dal mattino fino a ora di coricarsi. (Ah, perché invece noi lo sappiamo?). Movimenti precisi, ripetuti da una vita, e poche parole, tutte scelte con attenzione.
“Perché è gente che lavora”, dicono. Sarà. Anche a me è capitato di fare lavori manuali, e un po’ mi ci ritrovo, in questi film dove la colonna sonora consiste di martellate, sibili di flessibile, e in sottofondo il traffico urbano. Però i lavoratori non sono sempre così. Quelli che conosco io hanno pure voglia di comunicare, almeno nelle pause caffè, o al bar, o nel parcheggio prima d’andare a casa. Se non hanno argomenti c’è sempre il calcio, la musica, la politica, parlar male del capo, e se ci si conosce un po’ meglio, le donne (e gli uomini).
Ma i lavoratori dei Dardenne non tifano né Liegi né Anderlecht; non mettono mai su un disco, né dEUS né Jacques Brel, niente. Non hanno appettiti sessuali di sorta. Solo il ragazzo che invita a cena Rosetta suona un po’ la batteria, e mette su il suo demo mentre cerca di baciarla. È di gran lunga il più umano e il più simpatico tra i personaggi dei Dardenne, però, cavolo, non aveva neanche una cassetta di lenti? Una cassetta di qualsiasi cos’altro? La batteria come l’ha imparata, seguendo i tonfi della segheria al piano di sotto?
"È perché sono poveri”. È vero che abitano sempre in certi appartamenti schifidi, con pavimenti da fine Ottocento, mentre ero convinto che in Belgio avessero ormai tutti la moquette. Avevo pur sentito dire che il loro PIL pro-capite è superiore al nostro…
Prendi il falegname protagonista del “Figlio”: insegna falegnameria in una struttura per ragazzi in difficoltà. Ha quattro apprendisti. Non ha famiglia a carico. Dovrebbe pure riuscire a permettersi qualcosa di più di un’auto classe 1985 e di un tugurio arredato con mensole in fornica (non può portarsi un po’ di lavoro in casa?). Un mio coinquilino che stava alle pezze, sei o settecento euro al mese (lavorava nell’editoria), ce l’aveva pur fatta a comprarsi l’attrezzo per il sollevamento pesi. E invece il falegname dei Dardenne per fare i piegamenti deve sdraiarsi sul polveroso pavimento, che nessuna badante viene a pulire. Fossi in lui mi licenzierei seduta stante, forse farei la rivoluzione. E se guadagna così poco lui, quanto prenderanno gli apprendisti?
Non c’è da stupirsi se il loro comportamento rasenta l’autismo. Rosetta non è una donna, non è un essere senziente, è solo una voce che grida nel deserto: “Voglio un lavoro”. Il falegname non grida niente, non dice niente, insegue il ragazzo ma non ha niente da dirgli, cerca qualcosa dentro di sé ma trova soltanto misure esprimibili in centimetri, dal mio piede al piede dell’assassino di mio figlio c’è un metro e cinquantuno, massimo cinquantadue.
Eppure noi andiamo a vederli, i film dei Dardenne, perché? Come il falegname, anch’io cerco in me stesso e non trovo il perché; so solo dirti: al martedì all’Embassy costava quattro euro e dieci centesimi. E sicuramente non credo più alle fate di Hollywood, alle fiabe di Natale che stanno per uscire, sono un piccolo uomo che lavora e vorrei vedere altre storie di piccoli uomini che lavorano, o che ci provano.
Però col “Figlio” il discorso non torna. Un conto è lavorare, un conto è quella gabbia di silenzi e fissazioni misurabile in centimetri. Forse quello che mi servirebbe è un buon vecchio neorealismo, con la gente che piange, ride, canta le canzoni in osteria, ruba le biciclette. Ma non li fanno più i film così, invece premiano i film dei Dardenne, e io mi adeguo. Perché? Non lo so, il perché. Ora vado a letto. Domani ho cinque ore, dalle otto e venticinque all’una e cinque minuti. Quindi devo svegliarmi alle sette e quarantacinque. Metterò la sveglia alle sette e quarantatré, per sicurezza. Buona notte.
...At the end of The Son, the audience is expected to be grateful for being shown that there exists morality among the masses, but only someone wildly out of touch with humanity would be surprised by such a conclusion...
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