L’estate è nella distanza
del tempo e della strada.
Esco a fare un giro con la macchina.


L’ultima domenica di luglio degli anni passati.
Me la ricordo bene. Passata a casa, con le tapparelle quasi del tutto abbassate, un filo d’aria dalla porta della terrazza socchiusa, io che passo tra le stanze vuote in penombra.
Il riverbero del sole da sotto le tende bianche dilata il tempo. Si pensa che tutto possa durare per sempre, che l’estate sia lenta come il frusciare delle tende bianche sul pavimento.
Sul pavimento fresco sono sparse tutte le cassette, e io sono sdraiato con le cuffie che escono dal Marantz.
Ma la malinconia è dell’autunno, l’ultima domenica di luglio passa quasi limpida e secca, tranquillamente lontana dalle vacanze degli altri.
Le vacanze non sono un’immagine, una fotografia, un miscuglio di odori, ma il suono della radio, una radiosa stereofonia balneare, una moneta di canzone al bar, echi di altoparlanti sulle spiagge, uno sfondo di voci e vento sul passaggio di un aeroplano che fa pubblicità.
L’ultima domenica pomeriggio di luglio è il titolo di una canzone in inglese scritto male con la bic blu, pensando a una ragazza "in Luxemburg".

Qualcosa di tutto questo ho sentito di nuovo ieri pomeriggio, mentre sulla scrivania erano ammucchiati tutti i miei cd e stavo preparando le cassette miste da portare in viaggio.
All’improvviso è stato come rivedere me stesso, che non è cresciuto e ha voglia di andare in vacanza, di correre da qualcuno e di sapere che c’è tutto il tempo.
E un po’ mi ha fatto spavento vedere tutto questo tempo che era passato, questa musica che bisognava far stare dentro una cassetta e che mi era cresciuta davanti, mentre io (unica differenza gli occhiali) non ne sapevo un minuto di più di ogni altra ultima domenica di luglio.

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