Un tranquillo week-end nella Bassa (prima parte)

Memory of a Festival

Luna piena sulla pianura, guido piano, pieno anch’io, di musica e vino. Si sta bene dopo il Festival, dopo il gnocco fritto, il fango, il fenomeno che ballava mezzo nudo nella pioggia, le indie girls della Bassa modenese, gli amici incontrati per caso e abbracciati, il rock’n’roll che qualcuno ha saputo dare. Ancora.
Adesso la strada è lucida, il cielo si è aperto e ci sono un po’ dei vecchi Teenage Funclub nel mangianastri a massaggiare cuore e timpani. Torno a casa dopo un’altra sera di Musica nelle Valli, proprio contento.

Drivin’ in my car

Pomeriggio sereno variabile ventoso, la macchina si perde tra le ultime avanguardie ad ovest della provincia di Ferrara e quella terra tra Mirandola e il Po piatta e rubata al fiume. Più su c’è Mantova e se ci arrivo vuol dire che mi sono perso davvero. Poi passo davanti a un baretto in mezzo al niente dove ricordo di avere già chiesto informazioni l’anno scorso. Sosta, stanza vuota, perlinato, finestra che affaccia sui campi e sbatte di veneziana, birretta dissetante scaramantica, riparto.

San Martino Spino, here we are. La situazione è del tutto simile a quella dell’anno scorso, a fianco del campo sportivo a margine del paese. Le tende dei festivalieri sono piantate da ieri in un campo qui dietro e arrivano anche diversi furgoni. Con lo spirito pratico che sempre mi contraddistingue, soltanto dopo aver parcheggiato mi viene in mente di dare un occhio alla cartina. Così telefono a Glauco che si è perso fuori dalla tangenziale di Modena e gli suggerisco un paio di scorciatoie seguendo con il dito le sottili rughe rosse della mappa.

Folk punk rockers

Quando entro stanno facendo il sound check gli Zen Circus: prende il via il deliro. I tre toscani sono visibilmente già molto avanti, così cerco di mettermi al passo con le medie rosse offerte da Paolo e da Franz della Fooltribe (la balotta che ha messo in piedi tutta la baracca con lodevole passione). Non si capisce, ad essere sinceri, cosa gli Zen Circus stiano provando, se non il feeling del pubblico e le reazioni alle loro battute in toscano, dato che Ufo e Teskio (rispettivamente basso e batteria) scendono quasi subito dal palco, mettendosi tra le prime file e lasciando Appino suonare un blues introduttivo (forse quello che chiude l’ultimo fantastico album, scritto da William Namington IV?).

Ma è quando la formazione è al completo che ci si rende conto di quanto questi Zen Circus siano davvero fuori (del comune): chitarra e basso acustici per la maggior parte del concerto, batteria composta appena da un tamburo, un rullante e un piatto, le tre voci che non si sa come possano stare assieme. Eppure ciò che risulta è sorprendente: facciamo tutti un salto indietro di svariati lustri e io continuo il mio personale recupero della storia del rock.

Nel cielo della Bassa si scrive Pixies, e spesso e volentieri pure Violent Femmes (ok, anche se a loro piace così così, ma prometto che lunedì mi procuro Cramps e Minutemen), ma con una calligrafia decisamente arrabbiata e blues. Anzi, come cantano gli Zen Circus, "folk punk".
Finale con cover di un gruppo punk belgradese e un solo di Teskio alla chitarra con una roba tipo "beautiful baby"...
Qualcuno balla, le ragazze ridono e fanno le foto, altri bicchieri di birra sollevati in segno di saluto: un concerto decisamente trascinante, divertente e a suo modo indimenticabile.

Ugo, Bugo e Lambrusco

All’ora di cena il "cartoccio di ugo" (specialità della casa, insieme al tradizionale gnocco + salume) mi fa perdere buona parte delle potenti Motorama, perdonatemi. Per fortuna, incrocio Lucio che mi regala i risultati delle sue indagini e mi spiega come ormai siano sempre di più i gruppi senza il basso. Poi mi perdo dentro una teoria di nomi della scena di Chicago e intanto passo alla seconda bottiglia di rosso con Glauco e l’Elisa. Frughiamo al banchetto del merchandising, dove fanno bella mostra le magliette dei Perturbazione e non mancano quelle unhip.

Intanto il Festival si è popolato, i cani scorrazzano, l’aria si fa fresca, l’odore del fritto si mescola a quello degli incensi e di altri aromi, in un momento di splendore chiacchieriamo addirittura con Mara di RadioAntenna1 (bassista dei Black Candy, che non mi perdonerò mai d’avere perso il giorno dopo).

Cambio on stage. Dicono che per tutta la giornata, a chi gli chiedeva informazioni sul suo nuovo contratto major, Bugo rispondesse "sì sì, ma io stasera che canzoni devo suonare?". A ripensarci dopo, forse non era una battuta. Il suo show si apre con una lunga gag di finti scazzi con il fonico che apostrofa i musicisti in milanese stretto. Poi una manciata di canzoni solo chitarra, armonica e voce, nude e stoppate senza tanti complimenti, e sinceramente non so, se non fosse per la qualità della scrittura delle liriche, a qualcuno potrebbe venire un po’ il sospetto di una certa affinità con... ehm... Grignani (?).
Nella formazione al completo manca appunto il basso (chitarra, batteria + dj) e forse deriva da quello la mia sensazione che ci sia poca coesione (e non c’entra con il naif slabbrato, debordante, sporcato, che certe cose dell’album "Sentimento westernato" condensano). È davvero come stare dentro il garage dove probabilmente anche Bugo avrà iniziato, come ascoltare un gruppo provare ma che non ha ancora finito qualcosa.

Quando il livello del rumore sale tutto sembra suonare meglio. Beh, fino a quando non attacca a rappare: Bugo che imita... ehm... Mangoni? Mah. Rime elementari e surrealismo mooolto mooolto spicciolo. Manca, specialmente, la conferma di quel mito di Bugo come animale da spettacolo che abbiamo letto dappertutto, di quel "genio incontenibile" dei comunicati stampa. Forse non era troppo facile dare buoni risultati in mezz’ora, e con un pazzo scatenato che, una volta salito sul palco, si è messo a correre fra i musicisti e senza che nessuno riuscisse a fermarlo per due o tre canzoni.
Il finale con Sei bella come il dì (anche se il bis non l'ha chiesto nessuno) è di sicuro effetto, e qualche ragazza conosce tutte le parole :-))
E comunque secondo la Francesca (di Snatura Rock, su RadioCittà103), che è sicuramente più affidabile di qualunque Polaroid, è stato un ottimo concerto.

Piove sui bagnati

Quando scoppia il temporale non è che sentiamo più tanto freddo. Rimaniamo sotto il tendone proprio davanti al palco e a turno qualcuno porta una bottiglia.
Ci raggiunge anche Leonardo (o è stato più tardi?) e intanto salgono i padovani Redworm’s Farm, ormai affezionati ai concerti da queste parti.
Suonano un rock (al) quadrato solido e potente, senza pause o esitazioni, diretti e onesti (e anche loro senza basso). Come definirli? A me sono sembrati principalmente un gruppo di persone veramente affidabili. Cioè, mi danno proprio sicurezza. Se dovessi traslocare vorrei loro a darmi una mano. O forse come compagni per un lungo viaggio. Non conosco nessuna canzone (ancora) ma le ballo tutte, e anche la gente intorno, che nel frattempo si è assiepata, mi pare reagisca allo stesso modo.
Sicuramente il concerto più adatto alla situazione Musica Nelle Valli.

Let’s get to know...

Ci facciamo due passi per smaltire l’energia intanto che i Lo-Fi Sucks! montano gli strumenti. Torno al banchetto dei cd e chiedo se c’è qualcuno dei Perturbazione. Si presenta Cristiano chitarra e tastiere, (fratello di Rossano, batterista e giornalista per Rumore).
Sì, pare che si ricordi di Polaroid, del link eccetera, e insomma: porta un po’ di pazienza con me, che non ci so molto fare con le pubbliche relazioni e le celebrità, capirai, non c'è nemmeno La Laura qui con me. Poi, ovvio, si finisce a scambiare qualche battuta anche col fratello a proposito di quel bel libretto sul Brit Rock apparso qualche mese fa, o su quanto scrive bene Fabio De Luca, infilando se possibile qualche citazione dagli Smiths.
I Perturbazione sembrano proprio un bel gruppo di amici, prima di tutto, lì al banchetto, mentre tutti intorno bevono e sorridono, contenti che sia finita la pioggia, e le ragazze si provano i vestitini usati venduti da Mani Tese.
C’è lì anche il road manager (?) degli Zen Circus, e parlando di Bologna e di radio finisce che rovesciamo il vino sul banchetto dei cd, così per 5 euro riesco ad avere la validissima compilation della Ouzel Records, ora personalizzata al lambrusco: Do It Yourself!

Arrivederci addio

Poi, finalmente, i Perturbazione salgono sul palco. E mi piacciono proprio. Mi piace l’energia che riescono a far passare costruendo una canzone e suonandola pulita, mi piace come Tomi sia un cantante con un giubbetto di jeans, apparentemente così “normale”, ma capace di trasformarsi in una rock star attraverso le sue canzoni, mi piace (si potrà dire anche se è sposata con Gigi, il chitarrista?) Elena quando suona il violoncello e sorride, mi piace che i Perturbazione siano una band che suona e canta bene canzoni italiane, che ce n’è bisogno, suona e canta bene e dà quello che una canzone deve poter dare, se stai ad ascoltarla.
Ad esempio, un pezzo come Senza una scusa, che mi sembrava uno dei più deboli dell’album, nella cornice live l’ho trovato convincente al pari degli altri.
Poi, vabbe’, tutti in coro per Agosto e Il Senso della Vite e si balla Mi piacerebbe e allora finiamo anche l’ultima bottiglia, non so, forse l’ho pagata io.

Del finale di serata mi ricordo che eravamo in piedi davanti al furgone degli Zen Circus a scambiarci email, quando è uscito Appino, appena svegliato. Lo saluto sollevando il calice in un gesto di benvenuto. Lui non dice una parola, mi sorride con gli occhi chiusi, mi prende il bicchiere e se ne va vuotandolo d’un fiato, scegliendo il lato del sentiero affondato nel fango e scomparendo nel buio della notte della Bassa.
Régaz, è stato un Festival meraviglioso, grazie.
Peccato che domani proprio non si possa tornare… (continua)


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