Nuove tendenze del cinema francese
In realtà io non l’ho visto, questo Patto dei Lupi: so solo che è un film francese coi due divi del momento (M e Mme Kassel, che mi stanno anche simpatici) che è ambientato nelle foreste francesi del Sei o Settecento e che… contiene scene di kung fu.
Leggendo questa cosa mi è venuto in mente un altro film, direi quasi un bel film, I fiumi di porpora, con Monsieur Kassel e l’altro divo, dai, quello di Leon, Reno, e il regista di – scusate se è poco – La haine (un film che galleggerà sui decenni).
I fiumi è un thriller con una curiosa ambientazione: una valle alpina (Dipartimento dell’Alta Savoia o giù di lì), sede di un’Università molto elitaria, dove si seleziona una classe dirigente con criteri eugenetici – come probabilmente alla facoltà di Sociologia di Trento, prima che qualcosa andasse storto e la provetta contenente Toni Negri si disperdesse nell’atmosfera.
La cosa interessante è che anche I fiumi, appena prima la fine del primo tempo, contiene una scena di kung fu – tra l’altro molto ben girata, con esplicite citazioni da un videogioco (che gira su una playstation proprio sul luogo del combattimento).
Per quanto ben fatta, si tratta di una sequenza del tutto gratuita, in un film che per il resto è montato al millimetro: onestamente non si capisce il perché il comandante dei gendarmi dovrebbe accapigliarsi con quel paio di palestrati nazistelli, e poi, insomma, che ci azzeccano le arti marziali con l’Alta Savoia? E in generale, che ci azzecca la cinematografia francese con il kung fu?
Saltiamo dal palo alla frasca.
C’è un corsivista che apprezzo molto, Curzio Maltese, affetto da una strana forma di timidezza su internet. Nel senso che ogni tanto su Repubblica.it appare una sua rubrica, che diventa immediatamente la cosa più leggibile non solo di Repubblica, ma di tutto il web italiano, e poi improvvisamente scompare e per mesi interi non si sa più niente di lui -- a meno di procurarsi (orrore!) una copia della Repubblica cartacea…
L’ultima apparizione di Maltese sul web (che non posso linkare, perché, appunto, è scomparso un’altra volta) è una malinconica considerazione sul cinema italiano, di cui ogni anno si celebra la rinascita, ma che si mantiene così distante dagli standard degli anni d’oro.
Chi dà la colpa ai registi, chi ai produttori, agli attori o al pubblico. Maltese suggerisce che il problema è assai più grave: il fatto è che noi italiani, ormai, non siamo più interessanti. Siamo (aggiungo io) un Paese normale, come tanti, e come Paese normale non ispiriamo più la fantasia di nessuno.
I film che vanno per la maggiore, oggi, provengono:
1. dai Paesi globali
2. dai Paesi esotici.
I Paesi Globali in realtà sono i Paesi anglosassoni, cioè USA, più il loro cinquantunesimo Stato (quello dove Tony Blair fa il governatore) e altre quisquilie tipo Australia, Canada, ecc. I film hollywoodiani sono plausibili soltanto lì. Voi non riuscite a immaginarvi un Boeing carico di detenuti speciali che fa un atterraggio di emergenza sulla tangenziale di Bologna: se invece si tratta del Ring di Las Vegas, allora sì, la scena è plausibile (vedi Con Air).
I Paesi esotici sono tutti quelli che platealmente non si adeguano allo stereotipo globale, compresa Cina e India, che pure, coi loro miliardi di abitanti, avrebbero qualche diritto di dettar legge e trovare loro esotici tutti gli altri. Un film ambientato in uno di questi Paesi si va a vedere, al di là dell’oggettiva qualità, perché ha una provenienza ‘esotica’: i film iraniani, cinesi, serbi (ma sì, anche gli spagnoli) sono interessanti in quanto tali.
In mezzo, in un limbo indistinto di Paesi né troppo globali né troppo esotici, c’è l’Italia. Per la verità c’è anche la Francia.
La Francia però ha un approccio ai problemi tutto suo, che da Carlo Magno a Luigi XIV a De Gaulle consiste nel comportarsi come se Parigi fosse il centro del mondo, o lo fosse appena stato, o stesse per diventarlo. Non importa se nel frattempo è un villaggio di casupole di fango. Chi ci comanda ora: gli americani? Benissimo, e allora si fa concorrenza agli americani. L’atomica a Mururoa. Le guerre in Africa centrale. Pur di far incazzare gli yankees persino un vecchio manigoldo come Chirac si mette a fare il pacifista.
E persino i registi, gente pacifica e oltremodo snob, che lasciata a sé stessa probabilmente produrrebbe soltanto pellicole esistenzialiste in bianco e nero, avverte l’esigenza di contribuire all’impari lotta. Loro fanno Scarface? E noi gli facciamo Nikita. Star Wars? E noi gli diam pan per focaccia col Quinto Elemento. Senza menzionare Léon, i vari Taxxi, ecc.. In realtà sto parlando del solo Luc Besson, che però ha veramente fatto scuola. Il suo successo negli USA ha creato anche un fenomeno degenerativo, quello degli ibridi, come Ronin, un film americano con Reno e De Niro in una parte da Stallone con sparatorie e inseguimenti americanissimi, fatti però nel Centro Storico di Nizza, dove anche Schumacher riesce si e no a fare gli 80...
C’è un altro elemento: la gioventù francese. Che oltre a essere playstationizzata a un livello inimmaginabile tra noi, ha anche dei seri problemi d’identità. Gli immigrati di seconda generazione, per esempio (espressione assurda, a pensarci), nati in Francia e totalmente ghettizzati. Pensate soltanto al successo dell’hip hop francese (quasi sempre di colore): in Italia un hip hop serio non è mai veramente decollato (oh peccato).
Questo spiega tante cose. Nei Fiumi di Porpora, per esempio, oltre alla scena del kung fu, ce n’è un’altra all’inizio dove si vedono due ragazzi di colore passarsi una canna e dirsi amenità come: “mio fratello sta a Parigi, man, ma sono tutti pazzi laggiù”. Certo, anche in Alta Savoia si rolla come ovunque. Ma la scena ha un che di posticcio che salta agli occhi. Insomma, è una semplice strizzatina d’occhio a quei ragazzacci di banlieue che, chissà, magari decideranno di andare a vedere questo film made in France piuttosto che l’ultimo di Bruce Willis.
E a questo punto mi viene la curiosità di andare a vedere se lo sceneggiatore non ha trovato un modo per far consumare *ascisc a Kassel anche nel Patto dei Lupi:
“Monsieur Vincent, questa spezia proviene direttamente dalla Persia orientale”.
“Interessante. E va grattugiata sopra al paté?”
“Ma no, quelle idée! Per apprezzarne il gusto occorre inalarla”.
“Inalarla? Bizarre, n’est-ce pas?”
Perché no? Salvatores fece una cosa del genere, in Mediterraneo.
Insomma, la soluzione francese alla crisi del cinema né-globale–né-esotico è la seguente: sparare come gli americani, tirare fendenti come gli honk-konghesi, mostrare qualche canna di sfuggita (cosa che a Hollywood non si può fare). Sembrerebbe una soluzione ridicola, il problema è che… funziona.
Chissà, forse anche in Italia dovremmo pensarci seriamente. Pensate a com’è stato ingiustamente ignorato un film bello, intenso, onesto come Il partigiano Johnny. Chissà, forse sarebbe bastato che in qualche scena Stefano Dionisi ingaggiasse colluttazioni coi nazisti e gli facesse saltare le cervella a colpi di karatè (per poi ritirarsi nel casolare a rollarsi il meritato cannone). Cinque minuti esplicitamente trash, e poi tutto il resto del film assolutamente serio. Perché no?
Vedi anche Placido Rizzotto. Insomma, che palle questi film italiani sulla mafia, dove non ci si droga, non si spara, c’è giusto giusto una scena di violenza sessuale. Mettiamoci almeno una scena di combattimento con Placido che atterra tre capiclan a mani nude, prima di cadere sotto i colpi della lupara. Ok, non sarebbe storicamente attendibile, ma… ridurrebbe sensibilmente le poltrone libere in sala.
Insomma, pensiamoci. Tanto da qui non ci muoviamo. Difficilmente diventeremo più globali di così. Difficilmente torneremo a essere più esotici.
E allora, tantovale sputtanarci.
In realtà io non l’ho visto, questo Patto dei Lupi: so solo che è un film francese coi due divi del momento (M e Mme Kassel, che mi stanno anche simpatici) che è ambientato nelle foreste francesi del Sei o Settecento e che… contiene scene di kung fu.
Leggendo questa cosa mi è venuto in mente un altro film, direi quasi un bel film, I fiumi di porpora, con Monsieur Kassel e l’altro divo, dai, quello di Leon, Reno, e il regista di – scusate se è poco – La haine (un film che galleggerà sui decenni).
I fiumi è un thriller con una curiosa ambientazione: una valle alpina (Dipartimento dell’Alta Savoia o giù di lì), sede di un’Università molto elitaria, dove si seleziona una classe dirigente con criteri eugenetici – come probabilmente alla facoltà di Sociologia di Trento, prima che qualcosa andasse storto e la provetta contenente Toni Negri si disperdesse nell’atmosfera.
La cosa interessante è che anche I fiumi, appena prima la fine del primo tempo, contiene una scena di kung fu – tra l’altro molto ben girata, con esplicite citazioni da un videogioco (che gira su una playstation proprio sul luogo del combattimento).
Per quanto ben fatta, si tratta di una sequenza del tutto gratuita, in un film che per il resto è montato al millimetro: onestamente non si capisce il perché il comandante dei gendarmi dovrebbe accapigliarsi con quel paio di palestrati nazistelli, e poi, insomma, che ci azzeccano le arti marziali con l’Alta Savoia? E in generale, che ci azzecca la cinematografia francese con il kung fu?
Saltiamo dal palo alla frasca.
C’è un corsivista che apprezzo molto, Curzio Maltese, affetto da una strana forma di timidezza su internet. Nel senso che ogni tanto su Repubblica.it appare una sua rubrica, che diventa immediatamente la cosa più leggibile non solo di Repubblica, ma di tutto il web italiano, e poi improvvisamente scompare e per mesi interi non si sa più niente di lui -- a meno di procurarsi (orrore!) una copia della Repubblica cartacea…
L’ultima apparizione di Maltese sul web (che non posso linkare, perché, appunto, è scomparso un’altra volta) è una malinconica considerazione sul cinema italiano, di cui ogni anno si celebra la rinascita, ma che si mantiene così distante dagli standard degli anni d’oro.
Chi dà la colpa ai registi, chi ai produttori, agli attori o al pubblico. Maltese suggerisce che il problema è assai più grave: il fatto è che noi italiani, ormai, non siamo più interessanti. Siamo (aggiungo io) un Paese normale, come tanti, e come Paese normale non ispiriamo più la fantasia di nessuno.
I film che vanno per la maggiore, oggi, provengono:
1. dai Paesi globali
2. dai Paesi esotici.
I Paesi Globali in realtà sono i Paesi anglosassoni, cioè USA, più il loro cinquantunesimo Stato (quello dove Tony Blair fa il governatore) e altre quisquilie tipo Australia, Canada, ecc. I film hollywoodiani sono plausibili soltanto lì. Voi non riuscite a immaginarvi un Boeing carico di detenuti speciali che fa un atterraggio di emergenza sulla tangenziale di Bologna: se invece si tratta del Ring di Las Vegas, allora sì, la scena è plausibile (vedi Con Air).
I Paesi esotici sono tutti quelli che platealmente non si adeguano allo stereotipo globale, compresa Cina e India, che pure, coi loro miliardi di abitanti, avrebbero qualche diritto di dettar legge e trovare loro esotici tutti gli altri. Un film ambientato in uno di questi Paesi si va a vedere, al di là dell’oggettiva qualità, perché ha una provenienza ‘esotica’: i film iraniani, cinesi, serbi (ma sì, anche gli spagnoli) sono interessanti in quanto tali.
In mezzo, in un limbo indistinto di Paesi né troppo globali né troppo esotici, c’è l’Italia. Per la verità c’è anche la Francia.
La Francia però ha un approccio ai problemi tutto suo, che da Carlo Magno a Luigi XIV a De Gaulle consiste nel comportarsi come se Parigi fosse il centro del mondo, o lo fosse appena stato, o stesse per diventarlo. Non importa se nel frattempo è un villaggio di casupole di fango. Chi ci comanda ora: gli americani? Benissimo, e allora si fa concorrenza agli americani. L’atomica a Mururoa. Le guerre in Africa centrale. Pur di far incazzare gli yankees persino un vecchio manigoldo come Chirac si mette a fare il pacifista.
E persino i registi, gente pacifica e oltremodo snob, che lasciata a sé stessa probabilmente produrrebbe soltanto pellicole esistenzialiste in bianco e nero, avverte l’esigenza di contribuire all’impari lotta. Loro fanno Scarface? E noi gli facciamo Nikita. Star Wars? E noi gli diam pan per focaccia col Quinto Elemento. Senza menzionare Léon, i vari Taxxi, ecc.. In realtà sto parlando del solo Luc Besson, che però ha veramente fatto scuola. Il suo successo negli USA ha creato anche un fenomeno degenerativo, quello degli ibridi, come Ronin, un film americano con Reno e De Niro in una parte da Stallone con sparatorie e inseguimenti americanissimi, fatti però nel Centro Storico di Nizza, dove anche Schumacher riesce si e no a fare gli 80...
C’è un altro elemento: la gioventù francese. Che oltre a essere playstationizzata a un livello inimmaginabile tra noi, ha anche dei seri problemi d’identità. Gli immigrati di seconda generazione, per esempio (espressione assurda, a pensarci), nati in Francia e totalmente ghettizzati. Pensate soltanto al successo dell’hip hop francese (quasi sempre di colore): in Italia un hip hop serio non è mai veramente decollato (oh peccato).
Questo spiega tante cose. Nei Fiumi di Porpora, per esempio, oltre alla scena del kung fu, ce n’è un’altra all’inizio dove si vedono due ragazzi di colore passarsi una canna e dirsi amenità come: “mio fratello sta a Parigi, man, ma sono tutti pazzi laggiù”. Certo, anche in Alta Savoia si rolla come ovunque. Ma la scena ha un che di posticcio che salta agli occhi. Insomma, è una semplice strizzatina d’occhio a quei ragazzacci di banlieue che, chissà, magari decideranno di andare a vedere questo film made in France piuttosto che l’ultimo di Bruce Willis.
E a questo punto mi viene la curiosità di andare a vedere se lo sceneggiatore non ha trovato un modo per far consumare *ascisc a Kassel anche nel Patto dei Lupi:
“Monsieur Vincent, questa spezia proviene direttamente dalla Persia orientale”.
“Interessante. E va grattugiata sopra al paté?”
“Ma no, quelle idée! Per apprezzarne il gusto occorre inalarla”.
“Inalarla? Bizarre, n’est-ce pas?”
Perché no? Salvatores fece una cosa del genere, in Mediterraneo.
Insomma, la soluzione francese alla crisi del cinema né-globale–né-esotico è la seguente: sparare come gli americani, tirare fendenti come gli honk-konghesi, mostrare qualche canna di sfuggita (cosa che a Hollywood non si può fare). Sembrerebbe una soluzione ridicola, il problema è che… funziona.
Chissà, forse anche in Italia dovremmo pensarci seriamente. Pensate a com’è stato ingiustamente ignorato un film bello, intenso, onesto come Il partigiano Johnny. Chissà, forse sarebbe bastato che in qualche scena Stefano Dionisi ingaggiasse colluttazioni coi nazisti e gli facesse saltare le cervella a colpi di karatè (per poi ritirarsi nel casolare a rollarsi il meritato cannone). Cinque minuti esplicitamente trash, e poi tutto il resto del film assolutamente serio. Perché no?
Vedi anche Placido Rizzotto. Insomma, che palle questi film italiani sulla mafia, dove non ci si droga, non si spara, c’è giusto giusto una scena di violenza sessuale. Mettiamoci almeno una scena di combattimento con Placido che atterra tre capiclan a mani nude, prima di cadere sotto i colpi della lupara. Ok, non sarebbe storicamente attendibile, ma… ridurrebbe sensibilmente le poltrone libere in sala.
Insomma, pensiamoci. Tanto da qui non ci muoviamo. Difficilmente diventeremo più globali di così. Difficilmente torneremo a essere più esotici.
E allora, tantovale sputtanarci.
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