i moralisti del lunedì mattina [2]
La settimana scorsa su Leonardo è cominciata un’interessante inchiesta (come altro possiamo chiamarla, Leo?) sui vari motivi per cui non si dovrebbe utilizzare l’espressione “no global”. L’abbiamo anche segnalata in trasmissione l’altra sera, e spero che l’abbiate letta: mi sembra efficace tanto politicamente quanto retoricamente.
In un passaggio, però, Leonardo forse lascia un po’ indistinto un concetto importante. Scrive infatti: «detesto l’uso del sostantivo “generazione” in ogni sua declinazione: “generazione x”, “generazione y”, ecc. Ho una notizia per voi sociologi da salotto: le generazioni non esistono, non veniamo sfornati tutti da un cavolo lo stesso giorno ogni dieci anni, bensì nasciamo in continuazione (in un modo che qui sarebbe lungo spiegarvi)».
[fra parentesi, vi segnalo almeno la generazione J…]
Indipendentemente da quello che possono dire i sociologi da salotto (costume che pure i ragazzi di Polaroid avranno indossato qualche volta per sbaglio, o per ridere), l’uso di “generazione” per identificare quelli nati nello stesso giorno ogni dieci anni appare quello più superficiale (anche se, dato che ormai “siamo tutti americani”, prima o poi sarà organizzata anche per noi la reunion della class of 74, ricordando i bei tempi del college in Zamboni Street…).
Direi che "generazione" si usa per raggruppare (più o meno in buona fede) le persone non in base all’età ma per quello che fanno insieme.
Ad esempio, tanto per tirare subito in ballo La Generazione forse per antonomasia, quelli del 68 non li chiamiamo così perché erano nati tutti esattamente vent’anni prima (o meglio, non interessa solo questo), ma perché si riunivano sotto idee comuni ecc.
A sua volta, mi pare che la “generazione x” sia stata identificata perché non ha preso in considerazione certe scelte – mentre la coerenza d’età va bene per uno slogan fiacco o un titolo senza idee.
La nostra generazione, infine, sarà forse ricordata come quella che per prima ha utilizzato il computer come mezzo di comunicazione di massa, e non solo come calcolatore. O forse per qualcosa di peggio.
A questo punto sposterei la distinzione di Leonardo su un altro piano, e resterebbe comunque valida. Cioè: come gli appartenenti a una generazione non sono omogenei anagraficamente, così non possono nemmeno essere unanimi nel fare o non fare certe cose. Quante persone conoscete che, pur rientrando per età nella cosiddetta generazione x, hanno desideri perfettamente identici a quelli dei loro genitori? E che c’è di sbagliato?
Un certo uso di “generazione”, dunque, sarebbe superficiale non tanto perché quelli raggruppati in una stessa generazione non sono tutti Giovani uguali, quanto perché i coetanei non fanno mai le stesse cose (banalmente), non hanno tutti lo stesso percorso biografico (ad esempio: Leonardo è Leonardo, io faccio Polaroid).
Arriviamo così alla domanda: perché allora parlare di generazioni? Probabilmente Panorama e simili, come mostra Leonardo, lo fanno in maniera interessata e sleale: «A che serve un’etichetta? A spaventare chi non la conosce, a blandire chi decide poi di portarla. […] Allo stesso tempo – il punk insegna – nei laboratori del prét-à-porter si sta già elaborando la collezione No Global per la prossima primavera-estate».
Ma se pare esista una soglia statistica per cui, oltre una certa quota, un fatto diventa “generazionale” (siamo portati a credere che nei Settanta tutti indossassero solo jeans a zampa d’elefante), forse anche il contrario delle iper-generalizzazioni dei media tradizionali è un azzardo sconsigliabile.
Cioè, voglio dire: No Global Sucks, va bene. Però quali sono i personaggi nati in questi ultimi anni, le figure “della nostra età” che da sole si sono levate a caratterizzare un’epoca?
Leonardo, lo so: può sembrare triste, ma credo che dopo la morte dei Giovani Scrittori la nostra generazione sarà ricordata per le voci di Pierluigi Diaco, di Fabio Volo e di qualche altro presentatore di Mtv. Ormai non ci sorprendiamo nemmeno tanto a leggere un manifesto dei Giovani Global (dove ovviamente si parla della Generazione I…).
La citazione di Douglas Coupland che leggiamo in apertura di ogni puntata di Polaroid (a proposito: se vi ha stancato, ditecelo) ci piace perché descrive «la sensazione che quanto è successo anche solo la settimana scorsa sia roba di dieci anni fa». Non parla di nostalgia tout court. È qualcosa di più definito, di meno tranquillizzante. Forse è un modo che Polaroid ha escogitato per disimpegnarsi dalla questione: pensare che le generazioni sopraggiungono, si accavallano settimana dopo settimana. E quello che possiamo continuare a raccontare è indifferentemente una collezione di istantanee in serrata sequenza oppure la placida contemplazione del fluire dei giorni, dipende da come ci svegliamo quella mattina ;-)
La settimana scorsa su Leonardo è cominciata un’interessante inchiesta (come altro possiamo chiamarla, Leo?) sui vari motivi per cui non si dovrebbe utilizzare l’espressione “no global”. L’abbiamo anche segnalata in trasmissione l’altra sera, e spero che l’abbiate letta: mi sembra efficace tanto politicamente quanto retoricamente.
In un passaggio, però, Leonardo forse lascia un po’ indistinto un concetto importante. Scrive infatti: «detesto l’uso del sostantivo “generazione” in ogni sua declinazione: “generazione x”, “generazione y”, ecc. Ho una notizia per voi sociologi da salotto: le generazioni non esistono, non veniamo sfornati tutti da un cavolo lo stesso giorno ogni dieci anni, bensì nasciamo in continuazione (in un modo che qui sarebbe lungo spiegarvi)».
[fra parentesi, vi segnalo almeno la generazione J…]
Indipendentemente da quello che possono dire i sociologi da salotto (costume che pure i ragazzi di Polaroid avranno indossato qualche volta per sbaglio, o per ridere), l’uso di “generazione” per identificare quelli nati nello stesso giorno ogni dieci anni appare quello più superficiale (anche se, dato che ormai “siamo tutti americani”, prima o poi sarà organizzata anche per noi la reunion della class of 74, ricordando i bei tempi del college in Zamboni Street…).
Direi che "generazione" si usa per raggruppare (più o meno in buona fede) le persone non in base all’età ma per quello che fanno insieme.
Ad esempio, tanto per tirare subito in ballo La Generazione forse per antonomasia, quelli del 68 non li chiamiamo così perché erano nati tutti esattamente vent’anni prima (o meglio, non interessa solo questo), ma perché si riunivano sotto idee comuni ecc.
A sua volta, mi pare che la “generazione x” sia stata identificata perché non ha preso in considerazione certe scelte – mentre la coerenza d’età va bene per uno slogan fiacco o un titolo senza idee.
La nostra generazione, infine, sarà forse ricordata come quella che per prima ha utilizzato il computer come mezzo di comunicazione di massa, e non solo come calcolatore. O forse per qualcosa di peggio.
A questo punto sposterei la distinzione di Leonardo su un altro piano, e resterebbe comunque valida. Cioè: come gli appartenenti a una generazione non sono omogenei anagraficamente, così non possono nemmeno essere unanimi nel fare o non fare certe cose. Quante persone conoscete che, pur rientrando per età nella cosiddetta generazione x, hanno desideri perfettamente identici a quelli dei loro genitori? E che c’è di sbagliato?
Un certo uso di “generazione”, dunque, sarebbe superficiale non tanto perché quelli raggruppati in una stessa generazione non sono tutti Giovani uguali, quanto perché i coetanei non fanno mai le stesse cose (banalmente), non hanno tutti lo stesso percorso biografico (ad esempio: Leonardo è Leonardo, io faccio Polaroid).
Arriviamo così alla domanda: perché allora parlare di generazioni? Probabilmente Panorama e simili, come mostra Leonardo, lo fanno in maniera interessata e sleale: «A che serve un’etichetta? A spaventare chi non la conosce, a blandire chi decide poi di portarla. […] Allo stesso tempo – il punk insegna – nei laboratori del prét-à-porter si sta già elaborando la collezione No Global per la prossima primavera-estate».
Ma se pare esista una soglia statistica per cui, oltre una certa quota, un fatto diventa “generazionale” (siamo portati a credere che nei Settanta tutti indossassero solo jeans a zampa d’elefante), forse anche il contrario delle iper-generalizzazioni dei media tradizionali è un azzardo sconsigliabile.
Cioè, voglio dire: No Global Sucks, va bene. Però quali sono i personaggi nati in questi ultimi anni, le figure “della nostra età” che da sole si sono levate a caratterizzare un’epoca?
Leonardo, lo so: può sembrare triste, ma credo che dopo la morte dei Giovani Scrittori la nostra generazione sarà ricordata per le voci di Pierluigi Diaco, di Fabio Volo e di qualche altro presentatore di Mtv. Ormai non ci sorprendiamo nemmeno tanto a leggere un manifesto dei Giovani Global (dove ovviamente si parla della Generazione I…).
La citazione di Douglas Coupland che leggiamo in apertura di ogni puntata di Polaroid (a proposito: se vi ha stancato, ditecelo) ci piace perché descrive «la sensazione che quanto è successo anche solo la settimana scorsa sia roba di dieci anni fa». Non parla di nostalgia tout court. È qualcosa di più definito, di meno tranquillizzante. Forse è un modo che Polaroid ha escogitato per disimpegnarsi dalla questione: pensare che le generazioni sopraggiungono, si accavallano settimana dopo settimana. E quello che possiamo continuare a raccontare è indifferentemente una collezione di istantanee in serrata sequenza oppure la placida contemplazione del fluire dei giorni, dipende da come ci svegliamo quella mattina ;-)
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