“The songs we write they will not last"

Trust Fund - Bringing the backline

I don't know if maybe you know this
But one thing a song can do
Is tell you with a terrible sureness
Exactly who your heart belongs to


Not that it can belong to anyone...


I primi quattro versi di questa strofa potrebbero sembrare di un romanticismo totale. Ah, quel nome che sente il tuo cuore ogni volta che riascolta quella canzone, le canzoni legate ai ricordi, i movimenti del cuore come una meticolosa e sentimentale playlist... Bisogna però riconoscere che uno dei molti talenti di Ellis Jones, in arte Trust Fund, è stato spesso quello di trattare certe sue canzoni come piccoli sketch, e quindi spesso arriva quel verso in più, un'arguzia che può gelare, l'ennesima postilla del suo ostinato umorismo. Volevo solo dirti una cosa carina, e ho dovuto subito rettificare, rivedere, precisare. E tu intanto chissà dove te ne sei già andata.
La cosa più triste di questa cosa divertente è che poi la strofa finisce davvero tornando al tono pieno di romanticismo dell'inizio: "All I'm saying is, sometimes / You hear a song, it makes you think / I know the person I wish I was with".
Le canzoni dei Trust Fund sono sempre state piene di "persone con cui non siamo", o persone con cui siamo ma che stiamo per abbandonare, o che stanno per abbandonarci, o a cui non sappiamo come dire che è finita e con cui alla fine restiamo. Insomma, un lungo indugiare nella "fetishisation of regret", per usare una efficace espressione utilizzata dallo stesso Jones nella presentazione dell'ultimo album, Bringing The Backline.
Ma nel nuovo lavoro, oltre a tutto questo, l'altra protagonista ricorrente tra le canzoni sembra essere la stessa musica - intesa nei suoi aspetti meno ideali: la routine di andare ai concerti, incontrare gente uguale a te, guardare una band suonare cercando di capire se provare o non provare sentimenti. "Listening to your band / crying at the back / made me think about my band / how boring is that?". Tutto quell'affanno, gli strumenti da prestare, la backline da trovare, quell'aspettare sotto la pioggia, quel sentirsi incapaci, tutte quelle "sad Sunday suicidal ideation eight days a week"... tutto per arrivare alla conclusione: dover decidere se "we waste our time together or we waste our time alone".

Nelle settimane trascorse tra il pre-order di Bringing The Backline e il pacco con il mittente di Bristol arrivato nella mia cassetta della posta, Ellis Jones aveva annunciato lo scioglimento della band. Non posso nascondere che la notizia ha condizionato il mio ascolto. Per un certo periodo ho quasi tenuto a distanza il disco. Nonostante contenga alcune delle canzoni migliori mai registrate dai Trust Fund (Abundant, con quel solo di sax alla fine, o Alexandra, con quei sequencer così Human League), anche se forse non le canzoni con "i Trust Fund che amo di più", lo confesso: avevo la sensazione di essere stato quasi raggirato. Perché se ne doveva andare proprio in quel momento? Non poteva aspettare di fare almeno un piccolo tour promozionale? Aspettare un altro Indietracks? Magari riuscire a tornare ancora una volta in Italia? La data di qualche anno fa a Bologna era stata magnifica! Lo so, suona tutto molto egoistico, ma quando ascolto la musica che amo sono molto più capriccioso ed esigente del solito. E io amo ancora i Trust Fund, nonostante mi abbiano abbandonato.

Poi ho fatto pace con queste canzoni: le cose che trovo belle sono belle per quello che sono, e quelle che trovo meno belle (l'aspra e fastidiosa Jonathan?), lo sono per altri motivi. Nella canzone che chiude il disco, la delicatissima The Mill, tutta sorretta da arpeggi acustici, Jones canta apertamente:

The songs we write they will not last
All this dross we have amassed
Now me, my sister, and my brother
We all document the work of others


e in fondo è un discorso che invidio per la sua lucidità: è come se i Trust Fund, nuovi Wittgenstein dell'indiepop, fossero arrivati in cima alla scala del loro linguaggio e poi l'avessero buttata via, finalmente pronti ad affrontare altro. O forse, è un po' come vedere l'indiepop stesso come un linguaggio, come un mondo a cui ogni band aggiunge un'idea, una parola e poi lascia la parola ad altri. Sappiamo tutti che queste canzoni non sono "dross", ma forse possono diventarlo se cominciamo a considerarle qualcosa di più, se pretendiamo da loro qualcosa che non è lì.
Mi mancherà la spietata capacità di analisi dei versi di Ellis Jones, soprattutto il mondo in cui era seppellita tra chitarre Pixies / Weeezer / Los Campesinos, o nascosta in quegli audaci falsetti, ma anche questo non è del tutto vero: perché i Trust Fund sono ancora qui, con le loro battute micidiali e le loro melodie trascinanti (in questo disco, King Of CM su tutte), e con le loro tristissime strofe di addio tra amanti impossibili. Queste canzoni non se ne andranno mai. Voi portate la backline: qui c'è elettricità.



Commenti